martedì 28 gennaio 2020

1917 (Sam Mendes, 2019)


1917 inizia e si chiude allo stesso modo: sotto un albero nel mezzo di un verde prato, in un'atmosfera amena. Tra queste due immagini simili si snoda una discesa tortuosa e sofferente in un Inferno in Terra. Ai due giovani soldati Blake (Dean-Charles Chapman) e Schofield (George MacKay) viene affidato l’arduo incarico di attraversare le linee nemiche per consegnare un dispaccio al colonnello di un battaglione inglese, pronto ad attaccare i tedeschi in ritirata con i suoi 1600 uomini, senza sapere, però, che il nemico lo sta in realtà attirando in una terribile trappola; a differenza di Dante, che nella sua esplorazione dell’aldilà si era avvalso di sapienti guide in grado di dirigere i suoi passi nella giusta direzione, nessun Virgilio è presente a consigliarli nel loro pericoloso viaggio. Per affrontare coraggiosamente l’orrore del fronte occidentale non potranno che fare affidamento su una bussola e soprattutto l’uno sull’altro.

mercoledì 22 gennaio 2020

Un sogno chiamato Florida (The Florida Project, Sean Baker, 2017)


Un colore in particolare domina i fotogrammi di Un sogno chiamato Florida: è il lilla delle pareti del Magic Castle, uno dei tanti motel sparsi lungo le strade che portano a Disney World a Orlando. La tinta sgargiante e il nome evocativo (che richiama spudoratamente il Magic Kingdom) sono meri mezzi per sfruttare la popolarità del parco e fare presa nella mente di quei turisti alla ricerca di una sistemazione più economica rispetto ai costosi e rinomati alberghi presenti nei dintorni del complesso. In realtà, tuttavia, al di là della mano di vernice fresca, si tratta di una struttura vecchia e piuttosto squallida, popolata da un variegato insieme di persone che risiedono in maniera più o meno stabile al suo interno poiché troppo povere per permettersi l’affitto di una casa vera, disoccupate o, più di frequente, impegnate in lavori saltuari o attività criminose. Il panorama è abbastanza desolante, dominato dalle strade, lunghe e piatte strisce di cemento grigie. Una moltitudine di insegne affastellate freneticamente l’una sull’altra promette la soddisfazione dei propri desideri, qualunque essi siano, velocemente e a buon prezzo – l’apoteosi dell’urbanistica capitalista. I negozi, al di là dell’estetica appariscente, sono dimessi, banali. Eppure gli occhi di Moonee (Brooklynn Prince), la bambina protagonista, che vive con la madre in una delle stanze del Magic Castle, riescono a scovare bellezza, magia e promesse di avventura anche in un luogo così poco adatto a stimolare l’immaginazione infantile.

domenica 12 gennaio 2020

Under the Skin (Jonathan Glazer, 2013)

 
Il primo atto che la protagonista di Under the Skin compie sullo schermo è spogliare un cadavere per indossarne i vestiti. Non sappiamo nulla di lei: è introdotta completamente nuda accanto alla donna morta in un ambiente bianco, irreale, asettico. L’apparenza che ruba non nasconde un’identità determinata, ma al contrario colma uno spazio vuoto, maschera un corpo e un volto misteriosi, che esistono in quanto tali senza comunicare nulla di sé e della propria storia. Il film fornisce una labile spiegazione a questa presentazione lasciando supporre che si tratti di una forma di vita aliena giunta sulla Terra per compiere una missione che non viene mai chiaramente esplicitata. Per tale ragione, quindi, lo sguardo della protagonista sull’umanità sarebbe distaccato e apatico; gli abitanti del pianeta non sembrerebbero, per lei, nient’altro che prede da irretire con il proprio fascino e consumare. Le sue vittime sono principalmente di sesso maschile: la creatura, infatti, passa meticolosamente in rassegna le strade scozzesi a bordo del suo furgone, fermando i passanti fingendo di essersi persa e di aver bisogno di indicazioni, cercando di convincerli ad accettare un passaggio, così da poterli sedurre. Quando essi accettano di seguirla in un posto tranquillo, ammaliati dalla promessa di un rapporto sessuale, si condannano a finire invischiati in una trappola mortale.

giovedì 2 gennaio 2020

Ritratto della giovane in fiamme (Portrait de la jeune fille en feu, Céline Sciamma, 2019)


L’evento che mette in movimento la trama di Ritratto della giovane in fiamme è l’ostinato rifiuto di Héloïse (Adèle Haenel), giovane figlia della contessa (Valeria Golino), di farsi ritrarre in un dipinto, da inviare come presentazione al nobile milanese con cui la madre, vedova, desidererebbe maritarla. La protagonista, Marianne (Noémie Merlant), pittrice come suo padre prima di lei, viene convocata nel palazzo della nobildonna, un tempo appartenuto al coniuge, situato su un’isola bretone, a poca distanza dalla frastagliata costa dell’Atlantico e immerso in una natura aspra, primordiale e selvaggia, apparentemente come compagna di passeggiate per Héloïse, che la madre tiene segregata in casa senza permetterle di uscire autonomamente per paura che segua le orme della sorella maggiore, l’originario oggetto delle contrattazioni matrimoniali, che ha preferito suicidarsi lanciandosi da una scogliera piuttosto che accettare di porre il proprio destino nelle mani di un uomo sconosciuto, senza la possibilità di autodeterminarsi. La sua morte ha costretto la contessa a far uscire Héloïse, la figlia minore, dal convento in cui si era ritirata per non abbandonare il proprio progetto, che è ben lungi dall’essere del tutto altruista e disinteressato; la donna infatti soffre la lontananza dai piaceri e dalle attrazioni di Milano, città in cui ha passato la propria gioventù e in cui vorrebbe ritornare attraverso la scelta del genero. Affida a Marianne il compito di ritrarre Héloïse, che non accettando di posare ha già spinto alla resa un altro abile pittore, senza però che lei se ne accorga: dovrà lavorare di notte, alla luce delle candele, sfruttando le giornate spese insieme alla giovane per osservarla e memorizzarne i tratti. La vicinanza tra le due ragazze, tuttavia, porta al nascere di un forte sentimento.