domenica 14 giugno 2015

Jurassic World (Colin Trevorrow, 2015)

Guida rapida per una visione ottimale di Jurassic World: avvolgetevi completamente nella vostra sospensione dell'incredulità (non dimenticate i piedi), ficcate il vostro senso logico sotto la poltrona del cinema con una pedata, invitate un bel po' di amici e concordate l'abolizione del silenzio in sala.


Jurassic World inizia nel migliore dei modi possibili per essere il quarto capitolo di una saga tra le più famose della storia recente del cinema: in medias res, risparmiando allo spettatore poco interessanti spiegazioni di perché e percome, presentando i personaggi all'interno dello svolgimento della vicenda. Un altro punto positivo, almeno per chi scrive, è il permanere di una certa autocritica del capitalismo e del consumismo, fortemente evidente già in Jurassic Park. I visitatori del parco vogliono dinosauri più grossi, più feroci e con più denti: presumibilmente, vale lo stesso anche per gli spettatori in sala. L'Indominus rex è la risposta data contemporaneamente al pubblico fittizio ed a quello reale, e la sceneggiatura parla ad entrambi in più modi. La sequenza dell'arrivo dei due ragazzini protagonisti ad Isla Nublar è la visualizzazione di un sogno che ha abitato la mente di qualunque bambino abbia posseduto una videocassetta di Jurassic Park: come sarebbe il parco? Che cosa si proverebbe a visitarlo? Quali attrazioni sarebbero presenti? A vent'anni di distanza abbiamo la risposta, ed essa ha più di una somiglianza con quelle vecchie pubblicità di Disneyland Paris presenti sulle VHS Disney: qui su She's overbored non crediamo che sia un caso. Il pubblico di riferimento di Jurassic World ne conserva sicuramente qualche ricordo. Il personaggio di Ty Simpkins, Gray, rappresenta in un certo senso il ritornar bambino dello spettatore cresciuto a Gameboy e dinosauri.


La trama, tutto sommato, è estremamente semplice, e funziona in virtù del fatto che il film, pur durando due ore, scorre a velocità supersonica da una scena d'azione ad un'altra: manca il tempo per mettersi a pensare e spesso e volentieri non ci si può trattenere dal ridere e commentare. Alcune trovate visive sono fantasiose e divertenti e si esce dalla sala contenti. L'azione ben diretta e coreografata non manca, gli effetti speciali di ottima fattura (tra i quali fanno il loro gradito ritorno una manciata di animatronic) nemmeno. È un giudizio totalmente positivo il mio, allora? Non proprio.
Con lo scorrere dei minuti il film fa sempre più affidamento su un'ingombrante nostalgia che limita le sue possibilità di svilupparsi in quanto pellicola autonoma e non soltanto come sequel di un film di ventidue anni fa: il tema di John Williams è sempre bellissimo (e, personalmente, lo ascolto più o meno una volta alla settimana) ma risulta essere soltanto un richiamo, nemmeno troppo velato, al suo predecessore del 1993. Chris Pratt interpreta con la giusta dose di sfacciataggine il suo personaggio, mentre quello della sua controparte femminile, Bryce Dallas Howard, non riesce mai ad affrancarsi dal suo stereotipo di donna in carriera frigida ed efficiente. Il primo dialogo tra i due, criticato da Joss Whedon come sessista alla sua uscita come clip promozionale sul web, mostra due personaggi troppo rigidamente incasellati nei loro ruoli e poco vivi: è giusto dire, però, che nel corso della vicenda le cose migliorano un po', anche se continueremo a chiederci perché la povera Claire debba farsi inseguire da un T-rex inerpicata su uno scomodissimo paio di tacchi. La dottoressa Ellie con le sue Timberland era molto meglio equipaggiata per fuggire da un attacco di Velociraptor e molto più credibile. La relazione meglio sviluppata del film non è, in ogni caso, romantica: il progressivo avvicinamento dei due fratelli, Gray e Zach, coronato da un abbraccio, rimane certamente più impresso nella mente dello spettatore che il frettoloso bacio tra Owen e Claire (anche se gli ultimi fotogrammi a loro dedicati sono comunque degni di nota in quanto a composizione, e forse un richiamo a I predatori dell'arca perduta).
Il problema più grosso dell'intera operazione, almeno per me, è qualcosa che già era presente in Jurassic Park III: i dinosauri di Jurassic Park erano animali (anche se ibridi), nella maggior parte dei casi feroci, ma non mostri. Il Tyrannosaurus rex che usciva ruggendo dalla recinzione assomigliava ad un fiume che rompe gli argini: un fenomeno naturale che gli uomini non possono avere la presunzione di controllare, del tutto indifferente alla nostra esistenza come la Natura dell'operetta morale leopardiana.
Immaginavi tu forse che il mondo fosse fatto per causa vostra? Ora sappi che nelle fatture, negli ordini e nelle operazioni mie, trattone pochissime, sempre ebbi ed ho l’intenzione a tutt’altro che alla felicità degli uomini o all’infelicità. Quando io vi offendo in qualunque modo e con qual si sia mezzo, io non me n’avveggo, se non rarissime volte: come, ordinariamente, se io vi diletto o vi benefico, io non lo so; e non ho fatto, come credete voi, quelle tali cose, o non fo quelle tali azioni, per dilettarvi o giovarvi. E finalmente, se anche mi avvenisse di estinguere tutta la vostra specie, io non me ne avvedrei.

Dialogo della Natura e di un Islandese, Giacomo Leopardi, Operette morali


Al T-rex di Jurassic Park non importava per nulla di salvare il dottor Grant e i suoi compari: se non avesse dovuto liberarsi di quei fastidiosi Velociraptor, non ci avrebbe pensato due volte prima di inseguirli o tentare di divorarli, come era nella sua natura di predatore. Il fatto che gli umani alla fine si fossero salvati era una coincidenza, un colpo di fortuna offerto loro dalle leggi naturali: i due predatori erano troppo impegnati a combattersi. Questa concezione della natura come entità indifferente alle azioni e ai destini degli uomini ritornerà poi nel Godzilla di Gareth Edwards, che ha dichiarato – certamente non per caso – di essersi molto ispirato al film di Steven Spielberg. I dinosauri restano animali anche nel seguito, Il mondo perduto, in cui uno dei temi centrali continua ad essere il rapporto dell'uomo moderno con la natura. La differenza tra animale e mostro si infrange definitivamente nel terzo capitolo: la comunicazione tra Velociraptor, così intuitivamente comprensibile, li rende troppo umani e troppo poco bestiali, lontanissimi dalla spaventosa ed imprevedibile intelligenza delle tre Velociraptor dell'originale, che le faceva (con ben più di una ragione) rassomigliare al grande squalo bianco di Jaws.
You know the thing about a shark, he's got... lifeless eyes, black eyes, like a doll's eye. When he comes at ya, doesn't seem to be livin'. Until he bites ya and those black eyes roll over white. And then, ah then you hear that terrible high pitch screamin' and the ocean turns red and spite of all the poundin' and the hollerin' they all come in and rip you to pieces.

Lo squalo (Jaws, Steven Spielberg, 1975)

In Jurassic World i dinosauri comunicano tra loro e addirittura si esprimono in maniere comprensibili agli esseri umani, sfiorando in più di un'occasione il cartone animato e facendo scricchiolare la loro credibilità di lucertole terribili: il finale sfiora i profondi abissi del trash.


È anche possibile, tuttavia, interpretare l'umanizzazione dei dinosauri in un altro senso: potrebbe darsi che ci sia ora possibile comprenderli perché sono i nostri beniamini da quando eravamo piccoli ed impallinati con la paleontologia, a un punto tale che possiamo quasi ritenerli amici? Dopotutto quante volte nella nostra infanzia abbiamo giocato ad essere un T-rex od un Velociraptor? Perché ora, dopo tutti questi anni di amore, non potrebbero esserci alleati? Va detto che vedere un Velociraptor addestrato a rispondere ai comandi come un cane è sicuramente divertente (e anche lievemente inquietante: l'instabilità della situazione è piuttosto evidente a tutti, fatta eccezione per il personaggio di Vincent D'Onofrio).


Sarebbe comunque ingiusto, al di là di tutte le possibili critiche, giudicare Jurassic World un film poco riuscito: infatti raggiunge pienamente il suo intento, cioè quello di essere un blockbuster leggero, fracassone e divertente da commentare ad alta voce con gli amici. È un film memorabile? Certamente no, ma questo non lo rende meno godibile.