venerdì 20 marzo 2015

Archeodispensa

«Inizio ad avere una certa fame» disse Marco appoggiandosi alla ringhiera del balcone con la sigaretta in mano. Alessio, seduto sul divano nel salottino, replicò stiracchiandosi: «Vediamo cosa c'è di buono». Nessuno dei due aveva avuto l'accortezza di pensare che fare la spesa a valle sarebbe stata una buona idea, perciò avrebbero dovuto cavarsela con quello che la baita dei nonni di Alessio, in cui si erano recati con la scusa ufficiale di studiare più tranquillamente, offriva. Nutrivano grande fiducia nell'abbondanza di cibo in scatola che avevano intravisto sul ripiano più alto della dispensa durante un sommario sopralluogo. 
Alessio aprì lo scricchiolante sportello e salì in piedi su una sedia mentre Marco si posizionava al suo fianco, pronto a ricevere e ad esaminare i reperti. L'alluminio impolverato delle latte luccicò nel buio con aria misteriosa. Alessio allungò una mano e afferrò un barattolo che passò subito a Marco. «Dividi quello che è andato da quello che è ancora mangiabile» ordinò. La lattina era ricoperta da uno spesso strato di sedimento, risultato di anni di oblio. Marco la spolverò con la manica: comparve una data seguita da un numero romano e, senza pensarci troppo, decise che i reperti di epoca fascista non sarebbero stati considerati commestibili. Sull'etichetta della scatoletta seguente si intuiva, sotto la polvere grigiastra, la sagoma di un volto. Aiutandosi con uno straccio (la polvere fascista, ligia al suo credo di resistenza ad oltranza, non voleva saperne di mollare la sua manica) la liberò dallo sporco e si trovò davanti il volto torvo e severo di Stalin, che pure tradiva una certa gratitudine per essere stato finalmente liberato da tutta quella polvere tra i baffi. Per la scatoletta successiva non fu necessaria un'analisi approfondita, in quanto precedentemente profanata e razziata da una banda di topi. Una batteria di lattine dall'ingenua grafica anni cinquanta fece sbocciare in loro una certa tenerezza e decisero di comune accordo di porla nella categoria, appositamente creata, del “forse commestibile”, ma, per quanto tentati, dovettero rinunciare a mettercene anche una decorata con eleganti caratteri liberty perché dopo una lunga discussione storica avevano deciso di porsi come discrimine la seconda guerra mondiale. L'etichetta di una scatoletta bassa e rettangolare riportava l'immagine di un pacifico yak himalaiano e questo li convinse a metterla da parte senza farsi troppe domande, anche perché nessuno dei due riusciva a distinguere una parola o una data dal groviglio di caratteri stranieri che vi erano stampati sopra. Alessio riuscì ad afferrare una scatoletta italiana di sardine che era rimasta incastrata in un angolo dietro ad un gruppo di minacciosi barattoli tedeschi: osservarono con stupore che apparteneva al 1999. Concordarono entrambi nel ritenere che il Millennium Bug non sarebbe stato un problema ed iniziarono ad apparecchiare.

Tropico del pullman

Si aggrappò alla sbarra del pullman con un moto di fastidio: era appiccicosa e viscida come se un vapore umido da foresta pluviale vi si fosse depositato sopra. Alzò lo sguardo speranzoso sopra le teste e i corpi degli altri passeggeri, pregando tra sé e sé che scattasse il verde e che l'esasperante e lento movimento del vecchio motore surriscaldato generasse almeno un flebile venticello. Il borbottio aumentò e il movimento improvviso in avanti fece ondeggiare tutti. Urtò con l'avambraccio una signora: il ventaglio le cadde di mano con un tonfo soffocato. Si scusò con un cenno e si infilò con fatica in mezzo alla selva aggrovigliata di gambe. I suoi occhi si adattarono presto alla penombra e frugarono in ogni anfratto, sotto ogni lembo di gonna, dietro ad ogni polpaccio e intorno ai tanti manici di borse trattenuti pigramente tra le mani, appesi come flessibili liane ad un albero. Un bambino piccolo con addosso una maglietta variopinta lo scrutò da qualche metro più avanti, canticchiando tra sé e sé. Si asciugò la fronte con il dorso della mano. Fortunatamente il ventaglio non era andato molto lontano: si era incuneato tra due paia di scarpe da tennis. Allungò la mano destra e lo afferrò con la punta delle dita. Si rialzò un po' a fatica e restituì l'oggetto alla legittima proprietaria, che lo ringraziò profusamente. Riconquistò la sua posizione accanto alla tiepida sbarra metallica appena prima della sosta alla fermata: le porte si aprirono con un leggero risucchio e lui chiuse gli occhi cercando di gustare fin nel più minimo dettaglio il lieve refolo d'aria fresca che s'insinuava tra i ranghi serrati dei passeggeri. Qualcuno gli infilò un gomito nella schiena e una pesante borsa di pelle trovò il modo di adagiarsi scomodamente sul suo ginocchio: cercò di non pensarci, volgendo tutte le sue sinapsi all'unico scopo di godere di quel piccolo, temporaneo piacere. Dopo poco percepì un ronzio vibrante che sembrò inghiottire i rumori esterni: il filo d'aria sparì ed il suo naso si riempì dell'odore appiccicoso e denso di un'operazione collettiva di inspirazione ed espirazione decisamente troppo ravvicinata. Tentò senza troppo successo di trattenere il respiro fino alla fermata successiva. Il pullman avanzava alla sconcertante media di un metro al minuto: c'era molto traffico e dai finestrini aperti al massimo non entrava nient'altro che l'odore pungente del fumo dei tubi di scappamento delle macchine accese attorno a loro, una percussione continua come tanti tamburi appartenenti ad una qualche invisibile tribù. Prese un respiro per quanto gli fu possibile: avrebbe tentato di guadagnare l'uscita.   

Il veterano dell'attesa

L'attesa è una pratica che si affina con l'esercizio. Principio primo dell'arte dell'aspettare è dimenticarsi dell'orologio. Si individuano facilmente i principianti: incollano gli occhi alle lancette – o allo schermo del cellulare – e si lamentano ad intervalli regolari, in preda all'impazienza. Il veterano invece sa bene come comportarsi: l'orologio seppellito nella manica, con gli occhi legge un libro e con le orecchie ascolta distrattamente quello che accade nelle sue vicinanze: bisbigli, tasti premuti, fruscii di tessuto, cerniere aperte e chiuse, pettegolezzi, conversazioni telefoniche, chiacchiere familiari nella loro banalità. Spesso perde il filo della lettura per origliare discretamente una discussione interessante: vi partecipa vicariamente, parteggiando per qualcuno ed elencando mentalmente elementi da contrapporre a qualcun altro. Se si fa attenzione, si può cogliere nell'immobilità delle sue membra la determinazione del cacciatore che segue i passi di una possibile preda. Emerge dall'ombra solo per partecipare ai sommovimenti popolari, proteste o insurrezioni. Si scaglia contro chi non rispetta l'ordine di arrivo con la certezza dell'esperienza sul campo. Tuttavia ambisce sempre a ritornare alla sua posizione di sconosciuto nume tutelare temporaneo. Se necessario dispensa consigli a mezza voce e sorride ai bambini scorrazzanti, benevolo: ha già atteso tante cose in quello stesso luogo, in solitudine o guidando un piccolo plotone di sodali. Ogni volta, però, l'esperienza è differente. A volte si chiede perché non si paghi il biglietto per stare in fila.