martedì 21 luglio 2015

Babadook (The Babadook, Jennifer Kent, 2014)

Which connects to the idea that The Babadook is a horror movie, but it’s first and foremost about Amelia and Sam. 
Yeah, and I understand that The Babadook is being sold as a horror film. Films need to be sold throughout the world, and they need to reach an appropriate audience, but, for me, I never approached this as a straight horror film. I always was drawn to the idea of grief, and the suppression of that grief, and the question of, how would that affect a person? I like stories that are heightened and have a mythical quality, which is why I didn’t just keep it in the psychological realm—it skips over into this other realm of supernatural mythology. But at the core of it, it’s about the mother and child, and their relationship.

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Esiste un longevo filone, all'interno del genere horror, fatalmente attratto dai lati oscuri del femminile: il che non dovrebbe stupirci particolarmente, se pensiamo che uno degli obbiettivi di un buon horror è incrinare le nostre più radicate certezze (almeno per un paio d'ore), e il mito della donna come madre è qualcosa che, dalla Venere di Willendorf alla Vergine Maria, percorre tutta la storia del genere umano.


Scritto e diretto da Jennifer Kent, Babadook nasce come espansione di un corto diretto dalla stessa Kent nel 2005, Monster. Se sul significato del nome Babadook l'Internet Movie Database fornisce svariate ipotesi, tra le quali la più semplice è che sia un anagramma di “a bad book”, l'ispirazione dietro l'aspetto del mostro è chiara: il costume di Lon Chaney Sr in London After Midnight, film muto del 1927 andato definitivamente perduto nel 1967 durante un incendio nei magazzini della MGM.


Babadook appare, più che come un film dell'orrore ortodosso, come un dramma psicologico che utilizza topos e stilemi del cinema di paura per raccontare la storia di una donna isolata e depressa, divenuta vedova e madre lo stesso giorno in circostanze traumatiche, e che proprio a causa di ciò non riesce ad occuparsi di un figlio dal carattere difficile che nelle sue assillanti richieste di attenzioni mostra di percepire il distacco materno, sofferto e pieno di sensi di colpa. I tanti impietosi primissimi piani sul volto di Amelia (un'ottima Essie Davis) mettono in evidenza la stanchezza impressa nelle rughe e nelle occhiaie del suo volto. Il piccolo budget di due milioni e mezzo di dollari (trecentomila dei quali raggranellati tramite Kickstarter) è utilizzato fino in fondo, come è evidente nella cura della fotografia e della scenografia; la casa di Amelia è desolata e soffocante, tinta di lugubre nero e livido azzurro, lo scenario perfetto per la manifestazione di un mostro che non è altro che la proiezione delle fantasie più inconfessabili di una donna giunta al limite estremo della sopportazione. Il film raggiunge i suoi migliori risultati quando lascia che siano gli ambienti e le atmosfere a suggestionarci, a spingerci a rabbrividire: presentiamo che qualcosa di orribile sta per accadere, lo immaginiamo acquattato dietro le porte, nascosto nelle ombre, mimetizzato nel silenzio. Quando invece la narrazione diventa più esplicita qualcosa sembra perdersi, le citazioni da altri celebri horror (come Shining e L'esorcista) ci sembrano troppo familiari, e la catastrofe che infine, dopo tanta attesa, arriva forse non è abbastanza catartica per farci saltare sulla poltrona. In ogni caso, il finale redime tali difetti con una trovata non banale e, in un certo senso, commovente: non è possibile liberarsi del tutto della depressione, ma è possibile tuttavia tenerla a bada, ricordandosi, ogni tanto, di portarle da mangiare.


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