venerdì 18 settembre 2015

Inside Out (Pete Docter, Ronnie Del Carmen, 2015), recensione in pillole


Il grande successo di Inside Out in verità non ci stupisce particolarmente: i Pixar Animation Studios, infatti, ci hanno da tempo abituato all'eccellenza. La caratterizzazione e il design di ambienti e personaggi sono come sempre molto curate; il disegno a pastello delle emozioni risulta caratteristico e particolare, affrancandosi un po' dalla tendenza dell'animazione digitale ad assomigliarsi un po' tutta nel suo iperrealismo. La trama non è soltanto un pretesto per inanellare gag, come spesso succede nei film d'animazione prodotti da altri studi cinematografici: la psicologia e lo sviluppo della mente, materie che certamente paiono poco adatte ad un cartone animato rivolto (anche) ad un pubblico di bambini, sono trattate con piglio pop ed intelligentemente semplificate, senza snaturare, però, le discipline alla base. L'idea principale dietro al lungometraggio potrebbe addirittura rischiare di sembrare banale: quante volte abbiamo visto al cinema ed in televisione cervelli umani popolati da piccoli omini incaricati del nostro funzionamento? Tuttavia la simpatia delle cinque emozioni protagoniste – i loro dialoghi sono spassosissimi – e l'originalità con cui si è scelto di rappresentare la mente umana (quei grandi scaffali ricordano un po' la struttura di un server, e non crediamo che sia un caso) ci fanno scordare ogni caso precedente e ci invitano a seguire con partecipazione la storia, che scorre lungo due binari paralleli (il mondo esterno e quello interno alla mente della bambina) e strettamente collegati senza fastidiosi scossoni, concedendo anche qualche spazio alla pura spettacolarità che è parte imprescindibile dell'animazione (il parco di Immagilandia), ma senza che questa risulti del tutto gratuita. I luoghi della mente di Riley ed il personaggio di Bing Bong, il fantasioso amico immaginario, ricordano un po' il folle universo di Alice nel paese delle meraviglie (Clyde GeronimiHamilton LuskeWilfred Jackson, 1951), senza averne però il sarcasmo e l'inquietudine. La morale, infine, non è né banale né infantile, anzi, tutt'altro: le emozioni crescono con noi e si fanno via via sempre più complicate e variegate, e ci mettono in difficoltà fintantoché non impariamo a gestirle, scoprendo che anche quelle che meno desidereremmo provare, come la tristezza, ci sono in realtà necessarie, perché ci spingono a cercare aiuto negli altri, ad essere sinceri e a sfogare la tensione. Per apprezzare veramente la felicità, del resto, bisogna anche essere stati a contatto con la tristezza. L'unica nota meno positiva è forse il cortometraggio iniziale che nella traduzione italiana (che smarrisce il gioco di parole tra lava e love) perde un po' del suo significato, pur restando visivamente impressionante, con un livello di dettaglio maniacale per quanto riguarda rocce ed alberi.   

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