Star Wars: Episodio VIII – Gli ultimi Jedi (Rian Johnson, 2017)
Una bomba in una camera anecoica.
Questa è l'immagine che meglio mi pare riassumere l'ultimo capitolo
della saga (originariamente) lucasiana. Nelle ultime due settimane,
milioni di recensioni e miliardi di commenti hanno dissezionato il
film in ogni suo più piccolo dettaglio, atomo per atomo. Sarebbe in
fondo inutile riprendere per l'ennesima volta il discorso qui. Quello
su cui mi piacerebbe porre l'attenzione è un aspetto sul quale mi
sembra non ci sia soffermati più di tanto, ma che secondo me è
invece di importanza capitale: la ricaduta emotiva di quanto accade
sullo schermo.
All'ottavo film di una serie si può, in
fondo, perdonare una trama centrifuga ed ipertrofica, un palcoscenico
troppo affollato di comprimari, del didascalismo indigesto e qualche
caduta di stile di troppo. Il fulcro di quanto accade sullo schermo –
come nelle serie televisive, così nei grandi franchise
cinematografici – sono i personaggi. Sono loro a guidarci nei
meandri dell'universo narrativo; è la loro storia che ci interessa.
È con loro che dobbiamo (o dovremmo) stabilire un legame, almeno nel
cinema narrativo classico. Le situazioni in cui essi si trovano sono
le contingenze che permettono a loro di esprimersi e a noi di trovare
ragioni per affezionarci a loro.
Il risveglio della Forza ci aveva
presentato un nutrito gruppetto di nuovi personaggi, lasciando poi al
suo successore il compito di approfondirli. Non si può dire che Rian
Johnson non si impegni nel creare situazioni in grado di metterli
alla prova: Poe, l'eccezionale pilota, è privato quasi
immediatamente del suo Ala X, mentre Finn è messo di fronte al
proprio egoismo e alla propria codardia da Rose, e Rey è costretta
dal comportamento poco accomodante di Luke a confrontarsi nuovamente
con la terribile solitudine interiore che l'attanagliava su Jakku. Il
tormento di Kylo Ren si espande: il rifiuto delle proprie origini si
tramuta in un odio generalizzato per il passato, per tutto ciò che,
con la sua sola esistenza, pone dei limiti alla sua ambizione. Il
problema centrale de Gli ultimi Jedi non è nell'impostazione, ma
nello svolgimento. La velocità con cui i colpi di scena si
susseguono sullo schermo è impressionante e presa a sé, considerata
come un gioco volto a sovvertire le aspettative di chi guarda,
calibrate accuratamente da quanto venuto prima, può anche essere
divertente. È persino lodevole concentrarsi, per la prima volta
nella storia cinematografica di Star Wars, sul valore del fallimento
come occasione di crescita.
Il problema è che tutte queste fragorose
esplosioni narrative non generano conseguenze emotive: ritornando
alla metafora con cui ho iniziato questo post, a mancare non è
l'attacco ma la coda del suono, tutta quella serie di rifrazioni e
vibrazioni che gli fornisce corpo e consistenza. Il difficile
avvicinamento tra Rey e Kylo Ren non ha effetti duraturi, né sulle
forze in campo né sulla loro psiche: alla fine del film entrambi
ritornano alle posizioni di partenza forse addirittura più convinti
che all'inizio (incrinando i tentativi fatti precedentemente di dare
spazio ad una visione della Forza relativista e meno manichea). La
difficoltà di venire a patti con la propria identità si riassume,
per la protagonista, in qualche lacrima versata nel momento di
maggior tensione, presto dimenticata per indossare nuovamente le
immacolate vesti della campionessa del bene. Poe e Finn non hanno
sufficiente spazio (il che è ironico, in un film accusato spesso di
essere troppo lungo) per dimostrare come l'esperienza fatta durante
gli avvenimenti succedutisi li abbia cambiati, fatta eccezione per un
velocissimo e frenetico scambio di battute all'interno di una
sequenza sommersa dall'azione. Kylo Ren è e rimane un interessante
personaggio tormentato, ma pur essendo quello che presenta la
maggiore evoluzione, non subisce variazioni significative. Il motore
delle storie è il cambiamento: se dall'inizio alla fine la
situazione emotiva dei personaggi non muta, o ancora peggio, non
riesce ad esprimere in quale modo ciò avviene nonostante le numerose
contorsioni della sceneggiatura, a perdersi è il senso della storia
raccontata, e quest'ultima è una mancanza molto più grave, almeno a
mio parere, di un buco di trama o di una battuta infelice.
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