sabato 28 dicembre 2019

Storia di un matrimonio (Marriage Story, Noah Baumbach, 2019)


Nonostante quello che a volte ci piacerebbe pensare nei momenti difficili, i sentimenti non sono figure geometriche dagli angoli ben definiti, ma una materia viva e in continua trasformazione, che non segue nessun percorso prestabilito; al mutare di un amore non corrisponde necessariamente e naturalmente l’odio, la fine e l’inizio di una relazione non sono determinabili con assoluta e inequivocabile certezza. Come una retta è composta di infiniti punti uno accanto all’altro, così un rapporto è costituito da una stratificazione di sensazioni che influiscono l’una sull’altra, mescolate in modo tale che sia impossibile scinderle, e che pur toccate dal cambiamento, non scompaiono mai completamente. È una chimica comune e invisibile, che si ripete ogni giorno a differenti gradi di intensità, ma estremamente complessa da portare alla luce con chiarezza. Parlando per metafore, per tracciarne un ritratto affidabile è necessario un pennino delicato e sottilissimo in grado di cogliere la minima variazione con la grande precisione del sismografo, come quello utilizzato da Noah Baumbach nel portare sullo schermo il suo Storia di un matrimonio.

Ad un primo sguardo la scelta di un simile titolo, che utilizza la parola «Marriage» per identificare un racconto incentrato su un divorzio, appare contraddittoria, ma in realtà non lo è affatto; il dramma della separazione di Charlie e Nicole è, in effetti, la storia del loro amore raccontata a partire dalla sua fine, dal momento in cui l’equilibrio tra i due si rompe piuttosto che da quello in cui si era originariamente creato. La causa scatenante della frattura è la decisione della donna, attrice, di tornare nella sua nativa Los Angeles, accettando un ruolo di primo piano in una nuova serie televisiva, portandosi dietro il figlio, dopo aver vissuto per dieci anni a New York recitando nella compagnia teatrale d’avanguardia diretta dal marito, che non ha nessuna reale intenzione di allontanarsi dalla East Coast e dalle possibilità lavorative e creative che Broadway gli offre. È la fine di un progetto di vita condivisa in cui la sfera sentimentale e quella della realizzazione professionale sono apparentemente inscindibili e profondamente connesse e per questo, forse, ancora più dolorosa. Uno dei legali interpellati durante la pellicola afferma che gli avvocati penalisti assistono le persone cattive al loro meglio, mentre i divorzisti si occupano delle persone buone al loro peggio; è una frase che ha indubbiamente un fondo di verità. Nonostante l’iniziale (e in fondo utopistico) desiderio comune di separarsi nel modo più pacifico ed indolore possibile, anche e soprattutto per il bene del figlio, una volta coinvolti gli studi legali e iniziata la trattativa, che scava nelle mancanze e gira il coltello nella piaga delle speranze disattese di entrambi, gli animi progressivamente si scaldano e le conversazioni si fanno più amare, fino a raggiungere il culmine in una rancorosa gara a chi riesce a ferire di più l’altro: in un momento di furia – e di bravura attoriale memorabile – vengono urlate parole terribili e subito rimpiante. Esaurita la rabbia, emerge la tristezza che essa nascondeva. Tuttavia, sarebbe profondamente ingiusto e falso descrivere Storia di un matrimonio come un violento scontro; in nessun momento è possibile ridurlo soltanto a questo. Come detto nel primo paragrafo, i sentimenti non hanno confini rigidamente stabiliti; gli spazi tra un confronto e l’altro sono punteggiati da piccoli atti d’affetto, premure quasi impercettibili all’interno di un rapporto ben oliato ma che assumono un significato tanto più commovente nel bel mezzo di una crisi. L’amore che c’è stato lascia tracce, non scompare mai del tutto; non finisce, non soccombe alla delusione e alle accuse, ma cambia forma. La rottura di un equilibrio, una volta elaborato il trauma, ne genera un altro.

Tutte le scene sono pervase da un calore di fondo che non viene mai meno, neppure nei momenti più emotivamente difficili. La descrizione della rottura è piena di umanità, comprensiva verso entrambe le parti in causa; attraverso le sequenze Charlie e Nicole sono spinti dalla circostanza in atto a riflettere su se stessi e sull’altro, portando alla luce i punti di forza e le fragilità reciproche con l’onestà (a volte anche impietosa) che solo chi si è conosciuto a lungo e nel profondo sa impiegare. In nessun momento emerge la volontà di assegnare il torto o la ragione solo ad uno dei due; i meriti e le colpe sono vari e distribuiti, entrambi i punti di vista sono validi e sinceri. Come nella realtà, la verità non è mai una divisione netta tra bianco e nero ma un’elaborata scala di grigi. Pur ponendosi al di sopra dei personaggi senza prendere le parti di nessuno, l’occhio della macchina da presa guarda entrambi con lo stesso affetto, come due parti di un insieme che non esiste più, ma legate per sempre dalla presenza dell’amatissimo figlio e dal ricordo di quello che è stato. L’unione persiste in controluce, emerge nella sua assenza; in ogni momento della quotidianità dei due coniugi separati si intuiscono le dinamiche di una vita familiare che ci è dato osservare nei suoi momenti più sereni soltanto nel montaggio iniziale in cui entrambi elencano ciò che amano dell’altro – una sequenza che potrebbe, dalla descrizione data, apparire leziosa quando invece è composta di attimi di tenerissima e disarmante sincerità, un catalogo di abitudini e caratteristiche che qualunque innamorato compila nel corso del tempo e nasconde tra i propri pensieri.

Storia di un matrimonio nasce dall’esperienza vissuta dal regista durante il divorzio da Jennifer Jason Leigh nel 2013, anche se la sceneggiatura è stata integrata e completata con i suggerimenti del cast, in particolare per quanto riguarda lo sviluppo dei personaggi. E, in effetti, l’impressione è di assistere ad una rappresentazione coesa, fluida, dove ognuno non è soltanto esecutore, ma apporta qualcosa di unico e fondamentale per la riuscita dell’insieme. Ovviamente, l’intera impalcatura non reggerebbe assolutamente se non fosse sostenuta dall’inizio alla fine dalle solidissime interpretazioni di Adam Driver e Scarlett Johansson, profuse di una naturalezza che è propria solo dei grandi attori, sia nei momenti più lievi che in quelli sofferti. Charlie e Nicole sono personaggi ai quali si crede, le cui emozioni e i cui pensieri sullo schermo sono concreti, reali. È una finzione che non ha nulla di menzognero; è uno specchio che riflette e illumina la vita, che sa far emergere quanto c’è di straordinario (e nascosto) dietro ciò che ci appare banale. Si tratta di un risultato ottenuto nel suo insieme attraverso una regia, una scrittura e una recitazione accurate e precise ma sempre delicate, dal tocco leggero di piuma, paragonabili, forse, all’apparente disinvoltura, in realtà accuratamente e lungamente studiata, con cui un maestro di pittura delinea con pochi tratti decisi di una semplice matita un volto, rivelando un’espressione ben riconoscibile. Storia di un matrimonio è, alla base, il racconto di un sentimento e del suo evolvere attraverso le sue tante piccole e diverse sfaccettature; ed è probabilmente proprio in questo intimo e personalissimo punto di vista che trova la sua universalità.

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