mercoledì 28 dicembre 2016

Penny Dreadful, la recensione


C’è un solo, fondamentale prerequisito che bisogna soddisfare per apprezzare Penny Dreadful: amare il romanzo gotico ed il romanticismo inglese. John Logan, sceneggiatore dell’acclamatissimo Skyfall (Sam Mendes, 2012), che ha ideato ed in gran parte scritto la serie, realizza con i personaggi delle opere di Bram Stoker, Mary Shelley, Louis Stevenson e Oscar Wilde ciò che la prima stagione di American Horror Story compiva con i luoghi comuni dei film dell’orrore: li inserisce tutti nello stesso universo narrativo e li fa interagire, costruendo attorno a loro una storia che li possa unire.


Al centro della trama vi è la squadra di umani dalle peculiari capacità assemblata da sir Malcolm Murray (Timothy Dalton) con l’obbiettivo di ritrovare la propria figlia, Mina, rapita da esseri soprannaturali, composta dal giovane dottor Frankenstein (Harry Treadaway), da un misterioso pistolero americano, Ethan Chandler (Josh Hartnett), e da una donna tormentata dalle forze infernali, Vanessa Ives (Eva Green). Ognuno dei protagonisti principali ha una sua linea narrativa che per la maggior parte del tempo si evolve in maniera indipendente, e che mette in gioco numerosi altri personaggi, tra i quali spicca un misterioso edonista che vive in una splendida villa, il cui salone è pieno di ritratti. La serie, andata in onda a partire dal maggio 2014, si è conclusa con la terza stagione nel giugno 2016.


L’impegno economico che Showtime e Sky hanno profuso in Penny Dreadful è stato certamente notevole: le scenografie ed i costumi sono lussuosi, e le ricostruzioni della Londra vittoriana sono particolarmente apprezzabili. Fedele al significato del proprio titolo – che indicava, nel diciannovesimo secolo, racconti popolari pubblicati a puntate incentrati su argomenti spaventosi o scandalosi – la serie comprende sesso e violenza in gran quantità, uniti a dialoghi lunghi, elaborati ed infarciti di citazioni da componimenti del romanticismo inglese: elevazione spirituale e materialità terrena sono i due estremi tra i quali oscilla il pendolo morale dei protagonisti, tormentati e feriti dalle loro stesse azioni. Un mix non sempre facile da portare avanti, ma che dà a Penny Dreadful un fascino ipnotico e sensuale, reso tale anche dalle ottime interpretazioni dei membri del cast: Timothy Dalton è perfettamente a suo agio nei panni di un uomo determinato, rabbioso e dolorosamente egoista, mentre Josh Hartnett è convincente nella sua dimessa e silenziosa sofferenza, e Harry Treadaway incarna un genio romantico dalle eccessive ambizioni senza perderne di vista l’umanità. A sorprendere più di ogni altro è però Eva Green, che nell’interpretare la cupa e sventurata figura di Vanessa si trova spesso a sorreggere le puntate sulle proprie spalle, con risultati eccezionali. Anche tra i personaggi secondari sono presenti molte figure interessanti e ben caratterizzate, che non faticano a conquistare l'attenzione degli spettatori, tra le quali vanno certamente annoverate quelle interpretate da Billie Piper, Patti LuPone, Rory Kinnear e Simon Russell Beale.


Tutto ciò, unito ad una regia complessivamente curata e molto elegante, contribuisce a diminuire il peso del più grosso difetto, almeno a mio parere, di Penny Dreadful: l’eccessiva sbrigatività con cui vengono risolte le vicende attorno alle quali si costruiscono gli archi narrativi. Nelle tre puntate conclusive delle stagioni gli scontri verso i quali muovono tutti gli episodi precedenti sono veloci ed in più momenti non particolarmente soddisfacenti, e il finale della serie tenta invano di dare una chiusura definitiva alle numerose linee narrative del tutto indipendenti tra loro, senza risultare convincente e tralasciando colpevolmente l’approfondimento di alcune di esse, anche se ricche di implicazioni. Ciò che conta ed interessa in Penny Dreadful, più che l’insieme, sono i dettagli, e ciò potrebbe facilmente annoiare chi non sia disposto a farsi attrarre dalla loro forza evocativa. Al contrario, chi sia in grado di lasciarsi avvolgere da un’opera insieme dolcissima e velenosa, pronto a godere dei riferimenti, delle rielaborazioni e del modo in cui vengono portate sulla scena dagli attori, senza focalizzarsi troppo sull’effettiva coerenza ed efficacia narrativa delle vicende narrate, potrebbe trovare qualcosa di curiosamente affascinante.

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