martedì 1 marzo 2016

Deadpool (Tim Miller, 2016)


«Le cose importanti da ricordare sono i dettagli, i dettagli rendono la storia credibile», afferma Holdaway (Randy Brooks) ne Le iene (Reservoir Dogs, Quentin Tarantino, 1992); è una frase che si può applicare, senza particolari difficoltà, a Deadpool, il film sullo sregolato supereroe Marvel rimasto invischiato nei complicati ingranaggi degli studios per un decennio ed infine approdato sullo schermo grazie alla testardaggine di Ryan Reynolds, che oltre a recitarvi come protagonista funge anche da produttore. Sulla sedia del regista troviamo invece Tim Miller, direttore artistico e supervisore degli effetti speciali al suo primo lungometraggio.

La quarta parete, come era logico aspettarsi viste le caratteristiche del personaggio, viene demolita fin dalle prime sequenze: anzi, ribaltando i termini della questione, potremmo sostenere che il pubblico viene ingannevolmente portato a credere, in certi momenti, che esista un qualche grado di separazione tra sé e il personaggio principale. Come il servo astuto delle commedie latine Wade Wilson strizza continuamente l'occhio alla platea, la intrattiene con riferimenti continui alla pop culture e grappoli di gag irriverenti lanciati quasi senza un attimo di tregua: una bella rivincita per Deadpool e per il suo interprete, dopo la deludente prima apparizione come ninja muto in X-Men le origini – Wolverine (X-Men Origins: Wolverine, Gavin Hood, 2009), che quasi nulla aveva in comune con il personaggio originario. 


La trama in sé, denudata dei suoi orpelli, non ha niente di particolarmente innovativo, attinge a piene mani dagli stilemi tipici delle storie di origini di supereroi e, più in generale, del cinema d'azione; in fondo è giusto così, perché essa non è altro che lo sfondo più adatto ad ospitare gli eccessi di un cabarettista armato fino ai denti, letale anche se a corto di munizioni. I comprimari svolgono il loro dovere ma non riescono mai a raggiungere lo stesso livello del mercenario chiacchierone, con l'eccezione, forse, di Al (Leslie Uggams) vecchia cieca, cocainomane e appassionata di mobili IKEA con cui il nostro convive dopo la violenta trasformazione a cui lo sottopone Francis (Ed Skrein), l'antagonista del film. Le scene di tortura sono sgradevoli ed angoscianti al punto giusto, ma ciò che veramente sorprende (almeno la sottoscritta) è che la storia d'amore su cui la campagna marketing aveva scherzato a ridosso di San Valentino è effettivamente presente e, vista all'interno del genere in cui è collocata, funziona piuttosto bene, facendo scorrere su binari ben collaudati dialoghi brillanti e anelli di Voltron. 


La regia è gestita con la dovuta cura, fa ampio uso del ralenti riuscendo a non farlo risultare fastidioso e superfluo – come spesso capita – ma legandolo al carattere sopra le righe del personaggio e alle sue frenetiche evoluzioni, oltre che all'iniziale sequenza incentrata sull'attacco ad un convoglio di macchine. La musica e i movimenti rallentati sono, peraltro, spesso messi in scena con intenti comici o parodici, e il risultato è raggiunto e conquistato, soprattutto nella iniziale sequenza di titoli, di cui pare che il regista, tra l'altro, sia un esperto, avendo curato le introduzioni di Thor: The Dark World (Alan Taylor, 2013) e Millennium – Uomini che odiano le donne (The Girl with the Dragon Tatoo, David Fincher, 2011).
Il finale, comprendente una buona e giusta dose di distruzione e scazzottate, potrebbe spingerci a chiederci quali saranno i rapporti tra Deadpool e il franchise cinematografico degli X-Men. In questo primo film che, non è difficile prevederlo, sarà seguito da altri, la relazione è quasi di sfondo, accennata ma non sviluppata, una scelta assennata vista la necessità di presentare una nuova iterazione del personaggio al pubblico, concedendo comunque, in ogni caso, che gran parte degli spettatori non avrà serbato alcun ricordo della precedente comparsa. La scena dopo i titoli di coda, un richiamo a Una pazza giornata di vacanza (Ferris Bueller's Day Off, John Hughes, 1986), ha annunciato la comparsa, all'interno del secondo film, di Cable, altro personaggio Marvel legato alla scuderia mutante, mai apparso in scena prima. In futuro sarà possibile vedere Wade Wilson compreso nella pletora di personaggi che solitamente appaiono nel grande universo supereroistico della 20th Century Fox, oppure rimarrà una scheggia impazzita e collegata soltanto vagamente? Il personaggio verrà sfruttato efficacemente? Il tempo ci darà la risposta. Nel frattempo possiamo goderci la sfida vinta di Ryan Reynolds: il film sta registrando infatti degli ottimi incassi per un'opera con rating “R”, ha un'ottima gestione dei tempi comici, una storia adatta al genere che, pur potendo sembrare un po' generica, funziona, un personaggio principale esplosivo e delle scene d'azione coinvolgenti.

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