lunedì 7 dicembre 2020

Looper (Rian Johnson, 2012)


Una breve premessa: quella che segue è una recensione scritta nel settembre del 2016, pensata per essere pubblicata prima dell'uscita di Star Wars: Gli ultimi Jedi, che Rian Johnson ha diretto. Alla fine, per un motivo o per l'altro, è rimasta sepolta in una cartella del computer, abbandonata a se stessa. Ho pensato che valesse comunque la pena pubblicarla, epurando le riflessioni che erano ormai antiquate, ma mantenendo tutto il resto. 

Nell’anno 2074 verrà inventato il viaggio nel tempo, ci racconta il protagonista Joe nel voice over che apre Looper. Verrà immediatamente reso fuorilegge, ma le mafie se ne serviranno per liberarsi delle persone scomode inviandole nel passato, nell’anno 2044, perché nel futuro sarà impossibile disfarsi di un corpo; quando arriveranno, legate ed incappucciate, troveranno ad attenderle un uomo, incaricato di ucciderle con un colpo di fucile. È un lavoro semplice, alienante, persino banale nella sua asfittica ripetitività, però remunerativo. Tuttavia c’è un alto prezzo da pagare alla fine della propria carriera: l’ultima vittima che si eliminerà, infatti, sarà il se stesso del futuro, spedito indietro di trent’anni per chiudere il cerchio, il loop. Dopodiché non resta che aspettare, godendosi la vita grazie alla ricca buonuscita. Per Joe, giovane looper al servizio di un’associazione criminale, però, il crudele rituale non andrà esattamente come previsto.

Rian Johnson, regista di alcuni tra gli episodi più celebrati di Breaking Bad, Caccia grossa (Fly), Un ambiente migliore (Fifty-One) e Declino (Ozymandias), scrive e dirige un film fantascientifico solido e ben costruito, che fin dalla sua idea centrale dichiara un’evidente parentela con Terminator (The Terminator, James Cameron, 1984), senza che questo, contrariamente a quanto ci si aspetterebbe, lo danneggi in alcun modo. Alcuni passaggi della sceneggiatura sembrano un po’ forzati, e forse l’insieme è meno originale di quanto sembri, ma ciò che davvero funziona è la costruzione e la caratterizzazione dei personaggi, che pur essendo alla stregua di figure archetipiche del genere, riescono a trovare una loro personalità ed un loro carattere. Anche Sara, la madre single interpretata da Emily Blunt (che fin dal nome richiama la Sarah Connor di Terminator), che potrebbe rischiare di rimanere soltanto un facile stereotipo, diventa più sfumata e tratteggiata con il passare dei minuti in maniera quasi sorprendente. Joe, che è interpretato, nelle sue due diverse incarnazioni, da Joseph Gordon-Levitt e da Bruce Willis, sotto un’apparenza cinica e disillusa che ricorda un po’ l’apatia dipinta sul volto di Harrison Ford in Blade Runner (Ridley Scott, 1982), cela dubbi, timori e sentimenti che filtrano lentamente attraverso la sua maschera di freddezza. Jeff Daniels presta le proprie sembianze al signore del crimine Abe, imbevendolo di sicurezza di sé e tranquillità, persino mentre prende le decisioni più spietate. I dialoghi sono efficaci e ben distribuiti, e le spiegazioni fuoricampo si insinuano nella narrazione in maniera minima; lo sporco e decadente mondo futuro in cui si muovono i protagonisti è descritto quanto basta attraverso le immagini, tecnologia convenzionale e futuribile si incontrano in un insieme che appare verosimile. La droga che il protagonista assume durante il film, un liquido che va versato con il contagocce negli occhi come un collirio, pare in un certo senso una interessante rielaborazione del fenomeno del vodka eyeballing che qualche anno fa era stato oggetto di discussione sulle pagine dei giornali anglosassoni. 

La mano di Rian Johnson è ferma nello scrivere, forse un po’ meno nel dirigere: per Looper si affida, in diversi momenti, a tagli di montaggio bruschi, a volte uniti a sporadiche infrazioni delle regole tradizionali di suddivisione dello spazio scenico. Qualche volta questi stratagemmi risultano un po’ arbitrari, ma nulla porta a pensare che il regista del Maryland non possa, con il tempo, migliorare questi aspetti. Se si può supporre che Looper non verrà ricordato, in futuro, per essere stato particolarmente innovativo, si può altresì immaginare che ciò che resterà di esso sarà il modo estremamente accurato con cui presenta e mostra al pubblico i propri personaggi, scavando nelle loro sensazioni e sentimenti con delicatezza, senza avere timore di mostrarli imperfetti, egoisti, pentiti, insensibili, rendendo semplicissimo immedesimarsi nelle loro vicende e nei loro problemi, che è poi l’obiettivo principale di ogni lungometraggio narrativo tradizionale. Per questa ragione, se non per altre, Looper è indubbiamente un tentativo riuscito.

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