domenica 6 dicembre 2020

The Mandalorian – Capitolo 14: La tragedia


Il sesto episodio della seconda stagione di The Mandalorian inizia proseguendo sulla stessa linea emotiva del finale di quello precedente, con un momento di tenerezza tra il Bambino e Din Djarin (Pedro Pascal) che ben presto si tramuta in malinconia; dietro i discorsi incentrati sul dovere e sulla pura razionalità del mandaloriano si cela l’ansia di un distacco che è percepito come imminente. Ad ogni modo, ciò che colpisce nella scena è la spontaneità delle reazioni del protagonista, che si rivolge alla creatura che protegge senza schermare i propri sentimenti, se non completamente, molto meno che in passato. È un cambiamento che costituisce, in un certo senso, la summa di un percorso la cui traiettoria ha attraversato l’intera stagione, e che ha gradualmente mostrato quanto si sia sviluppato e rafforzato il legame che unisce i due personaggi. Il fatto che si enfatizzi così tanto l’affetto che si è creato e la difficoltà di accettare una potenziale separazione, però, suona sospetto, come il vago presentimento di una prossima sventura. L’apparizione del cartello con il titolo, che si rivela essere La tragedia (The Tragedy), conferma senza ombra di dubbio ogni timore. 

Il viaggio verso Tython si rivela piuttosto semplice e rapido; in men che non si dica Grogu è posto sulla pietra veggente ed entra in uno stato di profonda meditazione impossibile da interrompere. Tutto parrebbe andare per il verso giusto, ma a minacciare la quiete della situazione arrivano prima Fennec Shand (Ming-Na Wen) e Boba Fett (Temuera Morrison), in cerca dell’armatura di quest’ultimo, in possesso di Din Djarin dopo gli eventi de Lo sceriffo (The Marshal), e poi un contingente di forze imperiali guidate dal radiofaro installato di nascosto sulla Razor Crest durante L’assedio (The Siege). Messe temporaneamente da parte le divergenze legate al Credo del mandaloriano, che è portato a non considerare come suo simile il figlio (in realtà clone) di Jango Fett, i tre cacciatori di taglie uniscono le forze per respingere gli aggressori. Il minutaggio rimanente è quindi in gran parte dedicato a sequenze d’azione. L’ambientazione piuttosto scarna – un pendio roccioso su un pianeta apparentemente disabitato – è in fondo funzionale a non interferire con il ritmo concitato del montaggio: non è lo sfondo ad essere la principale fonte d’interesse, ma i movimenti dei personaggi. È proprio in quest’ambito, infatti, che il regista Robert Rodriguez può esprimersi al meglio. La scena in cui Boba Fett abbatte parecchi assaltatori con l’ausilio di un bastone gaffi (un’arma tipica dei predatori Tusken di Tatooine) è particolarmente riuscita: la camera a mano è lo strumento perfetto per seguire da vicino l’assalto violento ed implacabile dell’uomo, con un’inquadratura che addirittura si sofferma sull’arma che striscia per terra prima di dare il colpo di grazia ad un avversario ormai sconfitto, come se fosse il coltello di un serial killer in un film horror. È un punto di vista decisamente inusuale e nuovo nell’universo di Star Wars, che ben si adatta a reintrodurre l’antagonista che ne Il ritorno dello Jedi finiva comicamente inghiottito dal Sarlacc senza aver mai davvero potuto dimostrare la sua supposta crudeltà. La sequenza conclusiva dello scontro risponde alla stessa esigenza: Boba Fett giunge al termine dell’episodio come un lottatore esperto e privo di scrupoli, che annienta gli avversari uno dopo l’altro con tremenda efficienza, in grado finalmente di tener fede alla leggenda che gli appassionati, affascinati dal suo aspetto, gli hanno costruito attorno. Anche Fennec Shand ha modo di brillare, soprattutto grazie ad una serie di tagli rapidissimi che ne enfatizzano l’abilità come cecchina

La rosa di registi scelti da Jon Favreau per questa stagione è piacevolmente variegata: lo stacco tra quest’ultimo episodio e quello precedente è evidente ma non fastidioso, e lo stesso si potrebbe dire per gli altri. La complessiva uniformità della scrittura permette all’intreccio di accogliere visuali differenti, entro un certo limite di adattarsi anche ad esse, senza perdere coesione ma anzi finendo per esserne sostanzialmente arricchito. Non è del tutto ingiustificato, tuttavia, rintracciare qualche forzatura all’interno della sceneggiatura de La tragedia; alcune decisioni prese dai personaggi sembrano più legate al dover raggiungere una certa specifica situazione all’interno della storia piuttosto che a un processo organico e ragionevole. La necessità di tenere il protagonista ai margini del conflitto fin quasi alle battute finali così da potersi concentrare sui due comprimari, per esempio, è soddisfatta insistendo sul suo tentare testardamente di superare l’impenetrabile campo creato dalla Forza attorno al Bambino; se i ripetuti tentativi da un lato enfatizzano l’attaccamento del mandaloriano al suo trovatello, dall’altro potrebbero in effetti sembrare un po’ eccessivi e troppo ravvicinati tra loro. Considerando però come l’episodio si focalizzi in particolar modo sulla resa delle scene d’azione, si tratta forse di un difetto che si può considerare non troppo importante all’interno del quadro generale in quanto di secondaria importanza rispetto alla vivacità e dinamicità dello scontro. La trama, comunque, è portata avanti in modo più che significativo: il risultato finale è una sonora sconfitta per Din Djarin: i Darktrooper di Moff Gideon (Giancarlo Esposito) gli sottraggono Grogu, che dimostra, negli ultimi minuti, quanto possa diventare pericoloso se lasciato a se stesso, o peggio, posto nelle mani sbagliate, una tematica che già si intuiva negli episodi precedenti e che l’incontro con Ahsoka ha portato ancor più in superficie. Inoltre, la Razor Crest è definitivamente disintegrata da una cannonata imperiale, proprio quando sembrava aver superato tutte le tribolazioni della prima metà di stagione. Non resta altro da fare che salvare il (poco) salvabile, riunire gli alleati ed organizzare un contrattacco. La posta in gioco per la settima e l'ottava puntata non potrebbe essere più elevata.


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