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Visualizzazione dei post da febbraio, 2015

Due parole su Whiplash

Questo breve scritto non vuole essere una recensione di Whiplash, gran film di Damien Chazelle: una sola visione proprio non basta. Vorrei comunque scrivere due righe su un argomento che in un certo senso mi sta a cuore. Verso la fine del film mi ha colpito in particolare una scena: il protagonista si trova a riguardare un filmato della sua infanzia in cui un se stesso bambino suona entusiasta la batteria, e si commuove. A quel punto, ha già abbandonato la sua passione, diventata negli ultimi tempi un'ossessione insana grazie ai metodi severissimi dell'insegnante Terence Fletcher. Non ho potuto fare a meno di pensare che in quel preciso momento avvenga per lui una presa di coscienza: se perdi l'amore per quello che stai facendo, se smetti di divertirti anche se quello che ami ti fa dannare, resti un nevrotico guscio vuoto senza nulla da dire. L'idea che in qualunque disciplina si possa raggiungere un'utopica perfezione tramite la durezza dell'insegnamento è, p...

Levin e Polanski, ovvero di chi è il bambino di Rosemary

L'opinione comune generalmente sostiene che «il libro è sempre meglio del film» ma, personalmente, trovo che sia un punto di vista un po' troppo rigido. Un'opera d'ingegno (non necessariamente d'arte) vive nel momento in cui viene rielaborata, analizzata, reinterpretata; altrimenti, come tutte le cose che rifiutano di evolvere, muore. La prima forma che essa assume è sempre ed indiscutibilmente la migliore? Prendiamo ad esempio Rosemary's Baby, romanzo di Ira Levin pubblicato nel 1966 e poi trasposto in lungometraggio sotto la direzione di Roman Polanski, appena giunto in territorio americano, nel 1968. Secondo la mia modesta opinione, il romanzo ha il grande pregio di avere un'ottima idea di fondo (debitrice sicuramente dello zeitgeist) che tuttavia finisce per essere castrata dal fatto stesso di essere espressa in una forma letteraria. Tralasciando del tutto l'aspetto stilistico, impossibile da analizzare in una traduzione che (almeno per quanto rigu...

PRESENTE, ovvero: American Horror Story, svariate migliaia di anni dopo

Una necessaria premessa: non possiedo i diritti di American Horror Story ed ho scritto questa storia soltanto per esercizio e per diletto. PRESENTE   Violet osservava corrucciata il cielo innaturalmente pallido: era sicura che quel bianco accecante le avrebbe fatto lacrimare gli occhi se i suoi dotti lacrimali non fossero stati soltanto l'ombra di quelli che un tempo possedeva. Dalle finestre frantumate non passava nemmeno un filo d'aria; tutto era immobile, come in attesa. La temperatura, per quel che poteva dedurne una pallida immagine di essere umano come lei, sembrava leggermente più alta della media. Desiderò allora più che in ogni altro momento che il suo computer non avesse smesso di funzionare: avrebbe potuto cercare di capire qualcosa su quell'atmosfera così strana. Ormai tutto all'interno della casa, compresi i suoi abitanti, era distrutto e abbandonato.