mercoledì 6 maggio 2015

La paura è donna

Ho scritto questo articolo per il giornalino scolastico nel 2009; stasera m'è capitato sotto gli occhi e ho deciso di riesumarlo, nonostante sia tentata di correggerlo (ma non lo farò). Parlare di donne e horror mi è sempre piaciuto molto, nel caso in cui non l'aveste notato. Sono temi su cui continuo ad avvolgermi come un serpente.
Buona lettura.

La paura è donna 

L’horror offre allo spettatore attento, nelle sue sfumature migliori (nonostante sia oggi un genere fortemente in crisi qualitativa), molti spunti di riflessione parafilosofica. Ad esempio, qualunque persona abbia visto una certa quantità di horror demoniaci o di tortura (o anche fantastici, come può essere considerato Denti) potrà osservare che le donne hanno spesso un ruolo fondamentale nello svolgimento della trama; a volte sono vittima del male (L’Esorcista, Dracula, Rosemary’s Baby, The Others), a volte carnefice (Audition), a volte sono protagoniste sia come vittime che come spiriti (Dark Water, The Ring, The Grudge). Perché si verifica questa ricorrenza? Forse la donna è associata, nell’inconscio maschile, all’orrore, alla paura, all’occulto, ad avvenimenti inspiegabili?
È ben risaputo che sono le donne ad esprimere maggiormente i loro sentimenti, anche quando questi sono molto negativi, quasi perversi. Possiamo osservarlo nella Catherine di Cime Tempestose, che perde il lume della ragione in una delle sue crisi nervose, e nella Marina di Malombra, che giunge all’omicidio nella folle convinzione di essere la reincarnazione di una sua ava, imprigionata dal marito nelle sue camere a causa di un tradimento. I primi casi di isteria e nevrosi studiati dalla psicanalisi e dalla psichiatria furono osservati su donne. Nell’antica Grecia, era un gruppo di donne, le Baccanti, a seguire Dioniso, dio dei piaceri e del vino (potremmo anche associarlo alla vita terrena, e le donne sono la culla di questa), in preda ad una pazzia estatica. Sembra superfluo citare streghe e maghe, da Circe, a Morgana, alla Dama del Lago, a Calipso. È chiaro quindi che le donne possono, in qualche modo, essere associate alla follia ben più degli uomini. La possessione demoniaca sperimentata dalla giovane Regan McNail nell’Esorcista si manifesta, agli inizi, con i segni di un disturbo mentale, nonostante più tardi diventerà impossibile per gli psichiatri spiegare in modo scientificamente plausibile i sintomi sempre più terrificanti e incontrollabili che la bambina mostra. La gestualità dei fantasmi giapponesi e coreani richiama quelli di donne vittime di psicosi. Anche in Dracula le donne morse dal conte appaiono in uno stato di prostrazione mentale. La donna è, agli occhi dell’uomo, manifestazione di ciò che è nascosto, e che non può essere rivelato, nella nostra mente. È manifestazione di un male oscuro, senza sede, un male che prende la mente e il cuore e distrugge senza posa, senza che vi sia modo di trovare una cura.
Del resto, la donna presenta all’uomo altri misteri inquietanti: i suoi organi sessuali sono interni, bui, misteriosi; l’unico modo in cui si manifestano al mondo esterno è il sangue mestruale, scuro e denso. Ogni creatura umana proviene sicuramente dall’utero di una donna; potremmo dire che esso è la terra natia di ogni uomo. È un elemento di disturbo il fatto che un organo così vivifico si manifesti attraverso periodiche colate di sangue. Inoltre, l’uomo nutre spesso un’inconscia paura della donna in ambito sessuale. La vagina, porta dell’utero, deve essere conquistata, e può essere una conquista con risvolti drammatici, come è ben visibile in Denti (e nella leggenda, realmente esistente, della vagina dentata, a cui il film si ispira). L’utero è anche il buio primordiale da cui nascono mostri di cui anche la donna ignora la vera natura. Spesso non sa di portare letteralmente una serpe in seno, come accade in Rosemary’s Baby (anche se potremmo ritrovare una spiegazione psicologica della vicenda descritta nel film nel timore di dare alla luce figli mostruosi provato da ogni puerpera, per quanto questo sia un film su cui le cose da dire sono veramente troppe per essere riassunte in una parentesi).
Prima di essere donne, tutte noi siamo bambine, ed esse sono simbolo di estrema purezza in quasi tutta la letteratura e la filmografia moderna ed antica. Lewis Carroll, autore di Alice nel Paese delle Meraviglie, amava fotografare bambine e corrispondere con esse finché non raggiungevano la maturità. Eppure, gli esseri umani sono spesso peggio delle bestie e calpestano il fiore di tanta purezza. Subito, quindi, salta all’occhio la Sadako di Ringu (Samara nella versione americana), bambina incompresa ed annegata dalla madre adottiva, non amata ma ferita dalla persona a lei più cara. E potremmo citare, sempre dello stesso regista, Dark Water, storia di fantasmi le cui protagoniste principali sono tutte donne. In questo caso le bambine, le donne ferite nella loro purezza sono almeno tre, in piani temporali diversi che poi andranno a intrecciarsi nello scorrere della pellicola. Emblematica la scena in cui la protagonista, Dahlia, entra nell’appartamento appartenuto ai genitori di una bambina misteriosamente scomparsa e che sembra essere rimasta, dopo la presumibile morte, nell’edificio. Uno dei modi con cui manifesta la sua presenza è l’acqua (come si scoprirà più avanti, questo elemento è legato alle circostanze del suo decesso), che crea infiltrazioni e fenomeni di difficile spiegazione. Dahlia apre la porta dell’appartamento e lo trova completamente allagato. Nel bagno incontrerà la propria madre com’era negli anni della sua infanzia problematica, ovvero in preda agli effetti dell’alcol, e questa proiezione materna la insulterà ripetendo una scena che la protagonista invano cercava di scordare. L’acqua è il legame che unisce la storia di Dahlia a quella di sua madre e a quella della bambina scomparsa; tre generazioni di donne sono riunite davanti a traumi tra loro molto simili, ma con conseguenze molto diverse. Nell’acqua muore anche la piccola Sadako. L’acqua è ciò in cui la vita nasce; il feto è immerso nel liquido amniotico. Sadako e Natasha (il piccolo fantasma di Dark Water), muiono nell’acqua a causa dei loro genitori; vi si può forse vedere un forte simbolismo, poiché i loro stessi genitori le rifiutano e le riportano a forza nell’utero materno della terra, l’acqua, come a voler negare la loro nascita.
Potremmo dire che il potere di dare la vita ci mette in contatto con realtà terrene più profonde di quanto è normalmente visibile all’uomo; prendiamo parte alla sfera dionisiaca dell’universo. Non è un caso, secondo me, che le prime divinità attestate siano Dee Madri, divinità benevole o malevole, capaci di dare vita o morte con la prosperità o la carestia.


Fonti:

L’Esorcista, un film di William Friedkin. Con Lee J. Cobb, Max von Sydow, Ellen Burstyn, Linda Blair, Jason Miller. Titolo originale The Exorcist. Horror, durata 120 min. - USA 1973.
Rosemary’s Baby, un film di Roman Polanski. Con Ruth Gordon, Sidney Blackmer, Mia Farrow, Maurice Evans, John Cassavetes. Drammatico, durata 137 min. - USA 1968.
The Others, un film di Alejandro Amenábar. Con Nicole Kidman, Fionnula Flanagan, Christopher Eccleston, Alakina Mann, James Bentley.
Horror, durata 95 min. - USA 2001.
Audition, un film di Takashi Miike. Con Ryo Ishibashi, Eihi Shiina, Tetsu Sawaki, Jun Kunimura, Miyuki Matsuda, Toshie Negishi. Titolo originale Odishon. Horror, durata 111 min. - Giappone, Corea del sud 1999.
Dark Water, un film di Walter Salles. Con Jennifer Connelly, Ariel Gade, John C. Reilly, Tim Roth, Dougray Scott. Horror, durata 105 min. - USA 2005.
The Ring, un film di Gore Verbinski. Con Naomi Watts, Brian Cox, Martin Henderson, David Dorfman, Jane Alexander (I) Horror, durata 110 min. - USA 2002.
The Grudge, un film di Takashi Shimizu. Con Sarah Michelle Gellar, Jason Behr, William Mapother, Clea Duvall, KaDee Strickland. Horror, durata 96 min. - USA, Giappone 2004.
Come accade spesso per i film giapponesi, per Dark Water, The Ring e The Grudge esistono gli originali orientali, spesso molto più interessanti.
Dark Water, un film di Hideo Nakata. Con Hitomi Kuroki, Rio Kanno, Mirei Oguchi, Asami Mizukawa, Fumiyo Kohinata, Yu Tokui, Isao Yatsu. Titolo originale Honogurai mizu no soko kara. Horror, durata 101 min. - Giappone 2002.
Ringu, un film di Hideo Nakata. Con Nanako Matsushima, Miki Nakatani, Hiroyuki Sanada, Yuko Takeuchi. Titolo originale Ringu. Horror, durata 96 min. - Giappone 1998.
Ju-on - Rancore, un film di Takashi Shimizu. Con Yûrei Yanagi, Chiaki Kuriyama, Hitomi Miwa, Asumi Miwa, Takako Fuji. Horror, durata 70 min. - Giappone 2000.
Denti, un film di Mitchell Lichtenstein. Con Jess Weixler, John Hensley, Josh Pais, Hale Appleman, Lenny von Dohlen. Titolo originale Teeth. Horror, durata 88 min. - USA 2007.
Dracula, Bram Stoker, Rizzoli, classici Bur, Milano 2004.
Cime Tempestose, Emily Brontë, Rizzoli, classici Bur, Milano 2004.
Malombra, Antonio Fogazzaro, Mondadori, Oscar classici, Milano 1984.

venerdì 1 maggio 2015

Zodiac e Amabili resti: che cosa succede quando "omicidio" non equivale a "thriller"

Noi spettatori siamo animali abitudinari, anche se ci ostiniamo a negarlo con una certa frequenza. Quando ci accomodiamo sulla poltrona del cinema vogliamo assistere ad uno spettacolo che sia insieme nuovo e familiare, vogliamo sentirci a casa e nello stesso tempo a mille miglia da essa. Non siamo certo facili da accontentare. Qualche volta ci capita di trovarci di fronte un film che non rispetta questo nostro modo di pensare: non riusciamo ad incasellarlo nelle nostre strutture predefinite, ci confonde e per questo, spesso, non riesce a parlarci e finisce per non piacerci. Personalmente trovo che questo tipo di fenomeno si verifichi più spesso con film che si sviluppano attorno ad un crimine: il thriller è un genere estremamente codificato e noi conosciamo così bene le regole del gioco da esserci scordati che non c'è un solo modo per parlare di omicidio, che ci sono altre strutture possibili oltre a quella, lineare, di delitto - indagine - castigo. Zodiac (David Fincher, 2007) e Amabili resti (Peter Jackson, 2009) sono esponenti illustri di questa categoria: entrambi partono da un omicidio o da una serie di omicidi e noi seguiamo avidamente la vicenda aspettando una vittoria della giustizia che in realtà finisce per non giungere mai. Zodiac nel suo secondo tempo si sfilaccia in un labirinto di piste d'indagine che non portano a nulla mentre Amabili resti si conclude con l'assassino che, almeno in un primo momento, riesce a fuggire impunito pur essendo stato scoperto. Questo tipo di svolgimento ci frustra e ci annoia. Ci piacciono le grandi scene madri, ci entusiasma vedere l'uomo che compie il male venire punito per le sue azioni! Eppure se trovassimo la pazienza di dare una seconda possibilità a queste pellicole scopriremmo qualcosa di molto interessante. Pur avendo al centro crimini orrendi questi due film ricadono solo marginalmente nel genere thriller, e potrebbero esser meglio definiti come storie di onde generate da un sasso lanciato in un calmo stagno; un evento traumatico (uno o più terribili omicidi) genera una serie di conseguenze e il centro della narrazione sono proprio queste ultime.
Zodiac è la storia di un'ossessione divorante che distrugge la vita di chi si lascia dominare da essa, tanto è vero che il serial killer che dà il nome al film (realmente esistito ed effettivamente mai catturato) scompare gradualmente senza lasciar più tracce; l'unica cosa che resta è un'ostinata ricerca di verità che porta i personaggi all'autodistruzione. Il fumettista Robert Graysmith (Jake Gyllenhaal) e il giornalista Paul Avery (Robert Downey Jr.) finiscono per perdere la famiglia e il lavoro (e, in qualche misura, anche la sanità mentale); l'ispettore Dave Toschi (Mark Ruffalo) riesce ad evitare in parte questo destino accettando di arrendersi. Qualcosa di molto simile accade al padre di famiglia Jack Salmon (Mark Wahlberg), che in Amabili resti si vede strappare la figlia maggiore Susie (Saoirse Ronan) da un serial killer morbosamente attratto da bambine e adolescenti. Guidato dallo spirito dell'amatissima Susie, Jack mette a repentaglio la propria vita familiare e lavorativa nel disperato tentativo di farsi giustizia. In entrambi i casi questa ricerca della verità portata all'estremo finisce per essere incompresa e per alienare chi cerca di portarla a termine. Amabili resti e Zodiac sono costruiti su una struttura corale che, partendo da un evento scatenante, si concentra su cosa quest'ultimo comporta nelle vite di chi ne viene toccato, in modi e stili differenti: la regia di Peter Jackson è tanto calda e coinvolgente quanto quella di David Fincher tende alla freddezza ed alla celebralità. Tutti e due però riescono a tracciare ritratti ben delineati dei loro personaggi immersi nella ricerca del sasso che ha sconvolto la loro pace, e che, realisticamente, non riescono a trovare. Non resta quindi che cercare di venire a patti con l'impossibilità di arrivare a quella verità che pare in grado di restituire la serenità, ed ogni personaggio di questi due lungometraggi lo fa (o non lo fa) a seconda del proprio carattere e del proprio vissuto, generando una narrazione lenta e psicologica ma non per questo meno coinvolgente od affascinante se approcciata nel modo giusto.