Quanto ci piacciono le storie di uomini
che resistono – alla società, alle leggi, all'ingiustizia, alla
natura; mirabili esseri umani, che invece di arrendersi, come pure
molti farebbero di fronte ad un destino avverso, lottano con ancor
più furia e determinazione. L'ultima parola – La vera storia di
Dalton Trumbo (ennesima vittima, ahimè, della mania italiana di
sostituire titoli semplici e chiari con altri prolissi e poco
ispirati, cercando inutilmente, almeno a mio parere, di spiegare allo
spettatore italiano la trama del film) racconta la vita di un simile appartenente al genere umano: sceneggiatore di successo nella Hollywood anni
quaranta, fu una delle vittime della “caccia alle streghe”
portata avanti dalle frange più conservatrici, determinate a scovare
fantomatiche spie e supposti simpatizzanti comunisti nella fabbrica
dei sogni californiana. Trumbo, comunista iscritto al partito,
rifiutò di collaborare e oppose strenua resistenza ad ogni tentativo
di strappargli una dichiarazione di appartenenza politica, finendo in
carcere e trovandosi costretto, successivamente, a scrivere sotto
falso nome e ad accettare di lavorare per una casa di produzione di
infima qualità, escogitando sistemi via via più complicati per
restare nell'anonimato. Soltanto molti anni dopo gli saranno
ufficialmente riconosciuti i premi Oscar vinti per la sceneggiatura
di Vacanze Romane (Roman Holiday, William Wyler, 1953) e La più
grande corrida (The Brave One, Irving Rapper, 1956), originariamente
attribuiti a prestanomi o a scrittori del tutto inventati.