mercoledì 29 luglio 2015

Il tallone d'Achille di Terminator

Perché i sequel di Terminator venuti dopo Terminator 2 – Il giorno del giudizio arrancano narrativamente? Visto che ho finito gli esami e soffro di logorrea da tastiera, ho cercato di darmi delle risposte. Chiunque abbia il coraggio di leggere tutto questo papiro ha la mia ammirazione. I tre disegni che, oltre ai due fotogrammi dai primi due Terminator, accompagnano il post sono schizzi e disegni preparatori di James Cameron per il primo film e li ho trovati sulla pagina Facebook della Stan Winston School of Character Arts, che consiglio caldamente di seguire a chiunque ami il cinema e gli effetti speciali.  





Le premesse

Sono ormai ventiquattro anni che il franchise di Terminator non vede un vero, ampio successo: i film venuti dopo Terminator 2  Il giorno del giudizio (Terminator 2: Judgment Day, James Cameron, 1991) hanno tutti avuto accoglienze piuttosto contrastate di critica e di pubblico. Terminator 3 – Le macchine ribelli (Terminator 3: Rise of the Machines, Jonathan Mostow, 2003) tentava di riaprire la strada che James Cameron aveva chiuso nel capitolo precedente con una sceneggiatura zoppicante, un umorismo a volte poco efficace, dialoghi ridondanti e parecchie ingenuità nella regia e nel montaggio: è piuttosto difficile accettare, per esempio, che in un film composto da un unico, lungo e precipitoso inseguimento John Connor si soffermi ad osservare la T-X momentaneamente immobilizzata perdendo alcuni preziosissimi secondi di vantaggio. È lampante, quindi, che qualche minuto finale profondamente drammatico non potesse riscattare un'ora e mezza di idee mal sfruttate o non buone. Terminator Salvation (McG, 2009), nonostante lo scarso successo al botteghino, aveva l'onore e l'onere di rischiare, spostando la narrazione nel distopico futuro della guerra contro le macchine, eliminando viaggi nel tempo e la presenza, sempre gradita ma un po' ingombrante, di Arnold Schwartzenegger, e proponendo inoltre un interessante ibrido per metà umano e per metà macchina. I bassi incassi e il continuo trasferimento dei diritti da una società all'altra hanno fatto sì che i progetti di una trilogia ambientata nel futuro venissero accantonati per dedicarsi a produrre, invece, il più tradizionale Terminator Genisys (Alan Taylor, 2015), i cui incassi nei primi dieci giorni di sfruttamento non sembrano soddisfare pienamente Paramount e Skydance e la cui ricezione da parte della critica è stata piuttosto negativa (38/100 è la media delle recensioni prese in considerazione da Imdb, 26% quella di Rotten Tomatoes). Effettivamente, non si può certo dire che quest'ultimo sia un film perfetto: la trama è un susseguirsi di viaggi temporali generanti paradossi a non finire che finiscono per risultare fastidiosi (e dire che questa è una saga in cui si tende ad essere, a tal riguardo, molto permissivi) e la regia di Alan Taylor, dopo Thor: The Dark World (2013), sembra non aver ancora trovato una propria dimensione all'interno della tipologia produttiva del blockbuster, procedendo anonima e senza guizzi creativi dall'inizio alla fine. Un'ironia un po' dissacrante permea quasi tutte le sequenze, ma è talmente poco coerente con l'universo narrativo che ha intorno che sembra presa di peso da un film prodotto dai Marvel Studios. Tra gli attori si distingue solo Arnold Schwarznegger, il cui personaggio è probabilmente, alla fine dei conti, l'unico veramente riuscito (sorrisone agghiacciante compreso); gli altri non lasciano grandi tracce nella memoria dello spettatore. Inoltre, come Jurassic World (Colin Trevorrow, 2015) che di poco lo ha preceduto sugli schermi delle sale cinematografiche di tutto il mondo, Terminator Genisys è impregnato di un marcato effetto nostalgia che appare come una resa in partenza: crediamo che non riusciremo mai a creare un sequel che vi sembri all'altezza dei capitoli precedenti, che avete visto decine di volte e di cui sapete le battute a memoria, perciò invece di rischiare di stupirvi positivamente o negativamente tentando di aprire una nuova strada preferiamo riprendere pedestremente l'originale oppure proporvi scene d'azione completamente composte da elementi già presenti in quelle che avete ammirato anni addietro. Quest'ultima è senza dubbio un'ottima strategia economica nel breve termine (la nostalgia per gli anni ottanta-novanta in questo periodo è una forte calamita per il pubblico), ma è pur vero che non si è scoperto mai nulla di nuovo e di potenzialmente interessante continuando a battere sempre le stesse vecchie strade, ed è un ragionamento che vale per tutti, spettatori e produttori.



La domanda

Ad ogni modo, tutte queste riflessioni sul franchise di Terminator portano le persone con una propensione al porsi domande inutili come la sottoscritta a chiedersi: cosa è mancato alla saga di Terminator negli ultimi ventiquattro anni? Perché una serie con alti incassi e con buone possibilità di sviluppo sembra non riuscire a produrre un film unanimemente apprezzato dal 1991, al di là dello scarso coraggio nelle scelte creative? Ci sono delle ragioni strutturali dietro tutto questo? Dopo un po' di riflessione sono giunta a considerare tre elementi che secondo me si trovano alla base delle difficoltà che sceneggiatori e registi si trovano ad affrontare nel momento in cui vengono incaricati del difficile compito di aggiungere un capitolo alla storia dei robot assassini venuti dal futuro.



1. La storia è già conclusa

Girando Terminator 2  Il giorno del giudizio, Cameron ritornò sulla sua prima opera senza più limitazioni di budget e realizzò un sequel ed un remake insieme: la pellicola, infatti, riprende moltissimi elementi dal primo film, come l'arrivo di due personaggi dal futuro che combattono l'uno contro l'altro, la continua fuga, il primo scontro con la macchina assassina in un luogo affollato e molti altri. Tutto ciò, però, viene inserito in una trama più ampia e che si pone chiaramente l'obbiettivo di porre fine alla saga. Alla fine del film tutti i possibili sbocchi narrativi che potrebbero portare ad un sequel trovano la loro conclusione: la creazione di Skynet viene impedita e si previene che l'intelligenza artificiale possa venire inventata di nuovo, tutte le tracce dei Terminator – e del futuro di cui sono gli inquietanti alfieri – sono scomparse. Se il finale della versione uscita al cinema nel 1991 poteva ancora lasciare qualche flebile possibilità, quello inserito nella versione Director's Cut, invece, chiude la partita mostrandoci una vecchia Sarah Connor che osserva figlio e nipote insieme in un mondo in cui il giorno del giudizio non è mai arrivato. Da qui, forse, la necessità di riscrivere in un certo senso la storia nei capitoli seguenti, fatta eccezione per Terminator Salvation che, come si è detto, evita l'annoso confronto con i suoi predecessori spostando la narrazione nel futuro della guerra contro le macchine. Terminator 3 – Le macchine ribelli, infatti, ha al centro un'apocalisse nucleare inevitabile nonostante gli sforzi fatti anni prima; Terminator Genisys si propone come una sorta di reebot dell'intera saga utilizzando l'espediente nel viaggio nel tempo per costruire, sfruttando gli elementi già conosciuti, un universo narrativo differente. Tali operazioni comportano, ovviamente, dei problemi di coerenza interna.



2. Un dilemma comune

La storia della saga di Terminator, se si guarda solo ai primi due capitoli, è composta da un gruppo ristretto di personaggi e da un nucleo di avvenimenti principali non troppo grande, e questi due elementi rendono più difficile espanderla. Certo, in fondo Terminator è principalmente una serie di film di inseguimenti su sfondo fantascientifico, ma questo non significa che non debba avere personaggi convincenti e una trama accettabile. La rivolta di Skynet, il giudizio universale, la guerra contro le macchine guidata da John Connor: tutta la saga si articola intorno a queste tre pietre miliari, che non sono molto flessibili, anzi, tutto il contrario. Sarah, John, Kyle, il T-800 CSM 101: quattro personaggi principali che permettono combinazioni e possibilità narrative abbastanza limitate (che Terminator Genisys cerca di aggirare modificando il passato). Questo è un problema comune ad altre saghe: il fascino di Indiana Jones sta, logicamente, nel suo personaggio principale, intimamente legato ad un certo contesto (i film di avventura degli anni trenta e quaranta rivisti da Spielberg e Lucas con gli occhi e i mezzi del cinema americano degli anni ottanta) e se cambiare il personaggio principale è impossibile, è difficile anche spostarlo avanti nel tempo sia per quanto riguarda la storia, sia per quanto riguarda la produzione di essa, come dimostra Indiana Jones e il teschio di cristallo (Indiana Jones and the Kingdom of the Crystal Skull, Steven Spielberg, 2008). Del resto, la forma del lungometraggio cinematografico che nel corso dei decenni si è imposta comprende generalmente pochi personaggi principali e l'attenzione su un numero limitato di eventi. Il problema sta nel fatto che, se la miscela comprende pochi elementi, ottenere vicende avvincenti riutilizzando sempre lo stesso meccanismo è possibile soltanto per un numero limitato di volte. Altre saghe cinematografiche, come Guerre stellari o Harry Potter, non soffrono particolarmente di queste difficoltà perché pur incentrandosi su di un gruppo ristretto di personaggi principali creano attorno a loro interi universi abitati da miriadi di personaggi secondari che possono, se ce ne fosse la necessità, salire alla ribalta. La trilogia prequel di Star Wars comprende, questo sì, tra i personaggi principali molti volti conosciuti, Obi-Wan Kenobi tra tutti, ma ne introduce anche molti nuovi, come Padmé e, in un certo senso, anche lo stesso Anakin, prima conosciuto solamente con indosso la maschera di Darth Fener. Inoltre, Star Wars Episodio IV: Una nuova speranza (Star Wars Episode IV: A New Hope, George Lucas, 1977) è sì il primo film (cronologicamente parlando) della serie, ma dissemina qua e là nel corso del suo svolgimento riferimenti a molti eventi avvenuti precedentemente (le Guerre dei cloni, la caduta della Repubblica Galattica, l'amicizia – ormai finita – tra Obi-Wan e Anakin, la sottrazione dei piani della Morte Nera da parte di una squadra ribelle) che formano un florido substrato per lo sviluppo di altre storie che vengono legittimate dal loro essere state già precedentemente menzionate e quindi già esistenti, potenzialmente, nella mente dello spettatore, che quindi non le sente come aggiunte arbitrarie al canone. Del perché un settimo capitolo di Guerre stellari sia interessante parliamo poi in un'altra occasione, perché questo post è già abbastanza lungo senza che io divaghi più di quanto stia già facendo.



3. No URSS, no party

Il 1991 non è ricordato soltanto come l'anno in cui il maggiore incasso cinematografico fu Terminator 2 – Il giorno del giudizio, ovviamente: in quell'anno, infatti, si scioglieva definitivamente l'Unione Sovietica, decretando la fine del bipolarismo USA-URSS. Il fatto che il film di Cameron sia uscito con un tempismo perfetto è puramente casuale (una lunga battaglia legale sui diritti precedette la realizzazione del film e si dovette aspettare che regista e attori principali fossero disponibili) ma non per questo meno affascinante. La Guerra fredda è il protagonista non dichiarato di Terminator (James Cameron, 1984) e di Terminator 2  Il giorno del giudizio, o, per meglio dire, lo sono le suggestioni derivanti da essa. Concetti come quelli di guerra nucleare, inverno nucleare o ordigno dell'apocalisse (chiamato anche significativamente macchina del giudizio universale) sono tutti fortemente presenti nelle due opere di Cameron. Il mondo futuro di Terminator non è altro che la rappresentazione delle conseguenze più estreme di una continua e sfrenata corsa allo sviluppo bellico, che nella realtà del nostro mondo è stata il vero campo di battaglia della Guerra fredda. Il mondo in cui Sarah Connor vive balla spensierato col walkman in mano sull'orlo di una catastrofe nucleare e tecnologica: è questa inquietudine pulsante (come le note del tema di Brad Fiedel) a rendere tangibile la minaccia rappresentata da Skynet, e la fine definitiva della micidiale intelligenza artificiale nel secondo capitolo rappresenta, in un certo qual modo, la fine di un'epoca e delle sue paure. I film che sono seguiti a Terminator 2 – Il giorno del giudizio hanno dovuto fare i conti con delle condizioni sociopolitiche molto differenti e forse qualcosa dell'idea originale è andato perduto. Terminator 3 – Le macchine ribelli si appigliava ai timori portati dagli inizi dell'era digitale, Terminator Genisys a quelli portati dalla sua – supposta – maturità. Un virus o la dipendenza da smartphone, tuttavia, non sono certo tematiche in grado di suggerire cupi scenari di distruzione al livello di un disastro nucleare da tre miliardi di morti, che rimane sempre presente all'interno della storia, beninteso, ma spinto troppo in secondo piano, fattore che debilita la sua funzione – fondamentale per la riuscita del film – di incubo venuto dal futuro.



Nessun commento:

Posta un commento