venerdì 27 novembre 2015

Perché penso che Il re leone sia uno dei migliori film Disney

Il 23 novembre del 1994 usciva nei cinema italiani Il re leone (The Lion King, Roger Allers, Rob Minkoff, 1994), partito, nelle aspettative dello studio, come un film di secondo piano rispetto a Pocahontas (Mike Gabriel, Eric Goldberg, 1995) e finito per essere il maggiore incasso mondiale per un film di animazione. Persone più competenti di me potranno scendere nei dettagli dell'animazione, della musica, della sceneggiatura, delle ispirazioni più o meno lecite. Con un po' di ritardo (come mio solito, nulla di nuovo) dirò due parole sul perché, secondo me, è uno dei film tematicamente più profondi della Disney, passando per Harry Potter e la pietra filosofale.




Ai bambini non si parla quasi mai di morte: questo, però, non vuol dire che non ne percepiscano la presenza, per esempio nel vuoto lasciato da un nonno che non hanno mai conosciuto. La vita, del resto, può definirsi semplicemente come l'assenza di morte, tanto quanto il buio è caratterizzato dall'assenza di luce. Credo, nella mia posizione di (semi)adulta, che sia difficile per dei genitori trovare le parole giuste per parlarne, e forse i figli non chiedono perché temono, dentro di loro, di fare una domanda per cui nemmeno i grandi hanno una risposta. Perché si muore? Come accettare il fatto che vivere vuole anche dire morire? Sicuramente non posso parlare per tutti, ma queste domande giravano nel mio piccolo cervello di bambina di metà anni novanta, anche se cercavo di ignorarle. C'è un motivo preciso per cui, a dieci anni, mi convinsi del tutto che Harry Potter e la pietra filosofale non era un libro come gli altri. Arrivai a leggere questo passo: 
«Non dalla Pietra, ragazzo, da te! Lo sforzo che hai fatto per poco non ti è costato la vita. Per un orribile momento, ho temuto che fosse così. Quanto alla Pietra, è andata distrutta».
«Distrutta?» ripeté Harry come inebetito. «Ma il suo amico, Nicolas Flamel... »
«Ah, sai di Nicolas?» disse Silente con un tono di voce che sembrava deliziato. «Hai fatto proprio le cose per bene, eh? Be', Nicolas e io abbiamo fatto due chiacchiere, e abbiamo deciso che era la cosa migliore».
«Ma questo significa che lui e sua moglie moriranno, non è così?»
«Dispongono di una quantità sufficiente di Elisir per sistemare i loro affari, dopodiché... ebbene sì, moriranno».
Silente sorrise, vedendo lo sguardo allibito che si era dipinto sul volto di Harry.
«Per uno giovane come te, sono sicuro che tutto questo sembrerà incredibile, ma per Nicolas e Peronella è proprio come andare a dormire dopo una giornata molto, molto lunga. In fin dei conti, per una mente ben organizzata, la morte non è che una nuova, grande avventura. Sai, la Pietra non era poi una cosa tanto prodigiosa. Sì, certo: tutti i soldi e tutta la vita che uno può volere... Sono le due cose che la maggior parte degli esseri umani desidera più di ogni altra... Ma il guaio è che gli uomini hanno una particolare abilità nello scegliere proprio le cose peggiori per loro».
Harry, steso a letto, sembrava aver perso la parola. Silente canticchiò un motivetto e sorrise guardando il soffitto. 
Non era una risposta completa (e non sarebbe nemmeno possibile formularne una, credo, su questo argomento), ma era sincera, non si nascondeva dietro eufemismi o cambi di discorso. La candida domanda di Harry era quella che avresti fatto anche tu, che leggevi rannicchiata sotto le coperte. Era una risposta semplice, che sicuramente in tanti altri testi si trova formulata in maniere simili (mi viene in mente il commiato di Thorin a Bilbo alla fine de Lo Hobbit), ma per me quello fu il primo momento in cui mi trovai davanti a delle parole che cercavano di spiegarmi come accettare l'esistenza della morte. Tutto questo mi è tornato in mente nel momento in cui mi è capitato di rivedere Il re leone ormai passati i vent'anni, rimanendo molto colpita da quanto la trama in fondo giri attorno all'elaborazione del lutto e della perdita, un argomento che difficilmente definiremmo adatto ai bambini. Dirò la verità: non ricordo di aver pensato queste cose da bambina, ma è vero anche che non prestavo una particolare attenzione ai temi dei film all'epoca, mi lasciavo trasportare dalle animazioni e dalle musiche molto più che dalle parole. Direi, tuttavia, che anche se queste sono assolutamente considerazioni da adulta (forse), non vuol dire che siano meno rilevanti. La narrazione si apre con un inno, Il cerchio della vita; il piccolo Simba, conquistata la capacità di deambulare autonomamente, si prodiga nel cercare di rischiare la vita nel cimitero degli elefanti, dove il padre accorre a salvarlo. Le ultime battute della scena in cui Mufasa lo sgrida introducono con delicatezza un concetto importante, che poi ritornerà più tardi:

Mufasa: Simba, lascia che ti dica una cosa che mio padre disse a me. Guarda le stelle. I grandi re del passato ci guardano da quelle stelle.
Simba: Davvero?
Mufasa: Sì. Perciò quando ti senti solo, ricordati che quei re saranno sempre lì per guidarti. E ci sarò anche io... 
Anche quando crediamo di essere soli non lo siamo davvero: le persone che abbiamo amato lasciano dentro di noi una parte di loro, il loro ricordo, la loro saggezza, l'ombra del loro amore; come dira il saggio Rafiki, vivono in noi.
La celeberrima scena della carica degli gnu non ha bisogno di descrizioni: basterà dire che è, secondo me, una delle rappresentazioni più esplicite e drammatiche di morte nella storia dei Walt Disney Studios. Mufasa viene ucciso quasi a scena aperta, l'occhio della macchina da presa ci risparmia soltanto le parti più cruente: una scelta logica, visto che si tratta di un film per bambini. La morte della madre in Bambi (David Hand, James Algar, Bill Roberts, Norman Wright, Sam Armstrong, Paul Satterfield, Graham Heid, 1942) era terribile, ma tutta giocata sul fuori campo, e in fondo poteva sembrare soltanto un brutto sogno, visto che dopo pochi minuti, ascoltate le brevi e scarne battute del re della foresta, non se ne parlava più e si tornava ai teneri uccelli canterini. Forse erano altri tempi, si era in piena seconda guerra mondiale e la morte, anche nei bambini della parte occidentale del globo, era qualcosa di meno problematico perché, purtroppo, più frequente. Ne Il re leone la morte non è un incubo passeggero, però, visto che la dipartita di Mufasa segna ed orienta tutta la parte seguente del film, in cui l'erede al trono fugge e vive incapace di venire a patti con il proprio passato finché esso non gli bussa (con una certa prepotenza) alla porta: soltanto nel momento in cui sarà in grado di accettare la morte del padre e quello che significa ritroverà la propria identità e potrà reclamare il trono dall'usurpatore.

Mufasa: Simba, mi hai dimenticato.
Simba: No. Come avrei potuto?
Mufasa: Hai dimenticato chi sei, e così hai dimenticato anche me. Guarda dentro te stesso, Simba. Tu sei molto più di quello che sei diventato. E devi prendere il tuo posto nel Cerchio della Vita.
Simba: Come posso tornare? Non sono più quello che ero.
Mufasa: Ricordati chi sei. Tu sei mio figlio, e l'unico vero re.
Perché la vita possa andare avanti, perché un altro ciclo possa iniziare, dobbiamo accettare la morte e quello che comporta, sapendo che chi abbiamo amato non sparisce mai del tutto. Non è un argomento semplice da trattare, tantomeno in un film d'animazione indirizzato ad un pubblico di giovanissimi; Il re leone ci riesce pur restando un film piacevole e conciso, e questo me lo fa ritenere uno tra i migliori (se non il migliore) classico Disney fin'ora prodotto tra i molti che ho visto.  

 

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