venerdì 29 dicembre 2017

Star Wars: Episodio VIII – Gli ultimi Jedi (Rian Johnson, 2017)



Una bomba in una camera anecoica. Questa è l'immagine che meglio mi pare riassumere l'ultimo capitolo della saga (originariamente) lucasiana. Nelle ultime due settimane, milioni di recensioni e miliardi di commenti hanno dissezionato il film in ogni suo più piccolo dettaglio, atomo per atomo. Sarebbe in fondo inutile riprendere per l'ennesima volta il discorso qui. Quello su cui mi piacerebbe porre l'attenzione è un aspetto sul quale mi sembra non ci sia soffermati più di tanto, ma che secondo me è invece di importanza capitale: la ricaduta emotiva di quanto accade sullo schermo.

All'ottavo film di una serie si può, in fondo, perdonare una trama centrifuga ed ipertrofica, un palcoscenico troppo affollato di comprimari, del didascalismo indigesto e qualche caduta di stile di troppo. Il fulcro di quanto accade sullo schermo – come nelle serie televisive, così nei grandi franchise cinematografici – sono i personaggi. Sono loro a guidarci nei meandri dell'universo narrativo; è la loro storia che ci interessa. È con loro che dobbiamo (o dovremmo) stabilire un legame, almeno nel cinema narrativo classico. Le situazioni in cui essi si trovano sono le contingenze che permettono a loro di esprimersi e a noi di trovare ragioni per affezionarci a loro. 

Il risveglio della Forza ci aveva presentato un nutrito gruppetto di nuovi personaggi, lasciando poi al suo successore il compito di approfondirli. Non si può dire che Rian Johnson non si impegni nel creare situazioni in grado di metterli alla prova: Poe, l'eccezionale pilota, è privato quasi immediatamente del suo Ala X, mentre Finn è messo di fronte al proprio egoismo e alla propria codardia da Rose, e Rey è costretta dal comportamento poco accomodante di Luke a confrontarsi nuovamente con la terribile solitudine interiore che l'attanagliava su Jakku. Il tormento di Kylo Ren si espande: il rifiuto delle proprie origini si tramuta in un odio generalizzato per il passato, per tutto ciò che, con la sua sola esistenza, pone dei limiti alla sua ambizione. Il problema centrale de Gli ultimi Jedi non è nell'impostazione, ma nello svolgimento. La velocità con cui i colpi di scena si susseguono sullo schermo è impressionante e presa a sé, considerata come un gioco volto a sovvertire le aspettative di chi guarda, calibrate accuratamente da quanto venuto prima, può anche essere divertente. È persino lodevole concentrarsi, per la prima volta nella storia cinematografica di Star Wars, sul valore del fallimento come occasione di crescita. 

Il problema è che tutte queste fragorose esplosioni narrative non generano conseguenze emotive: ritornando alla metafora con cui ho iniziato questo post, a mancare non è l'attacco ma la coda del suono, tutta quella serie di rifrazioni e vibrazioni che gli fornisce corpo e consistenza. Il difficile avvicinamento tra Rey e Kylo Ren non ha effetti duraturi, né sulle forze in campo né sulla loro psiche: alla fine del film entrambi ritornano alle posizioni di partenza forse addirittura più convinti che all'inizio (incrinando i tentativi fatti precedentemente di dare spazio ad una visione della Forza relativista e meno manichea). La difficoltà di venire a patti con la propria identità si riassume, per la protagonista, in qualche lacrima versata nel momento di maggior tensione, presto dimenticata per indossare nuovamente le immacolate vesti della campionessa del bene. Poe e Finn non hanno sufficiente spazio (il che è ironico, in un film accusato spesso di essere troppo lungo) per dimostrare come l'esperienza fatta durante gli avvenimenti succedutisi li abbia cambiati, fatta eccezione per un velocissimo e frenetico scambio di battute all'interno di una sequenza sommersa dall'azione. Kylo Ren è e rimane un interessante personaggio tormentato, ma pur essendo quello che presenta la maggiore evoluzione, non subisce variazioni significative. Il motore delle storie è il cambiamento: se dall'inizio alla fine la situazione emotiva dei personaggi non muta, o ancora peggio, non riesce ad esprimere in quale modo ciò avviene nonostante le numerose contorsioni della sceneggiatura, a perdersi è il senso della storia raccontata, e quest'ultima è una mancanza molto più grave, almeno a mio parere, di un buco di trama o di una battuta infelice.

Nessun commento:

Posta un commento