martedì 22 novembre 2016

101 divise arancioni


Piper Chapman (Taylor Schilling) era la più classica ragazza WASP (White Anglo-Saxon Protestant) che si potesse immaginare; forse non aveva davvero deciso cosa fare del proprio futuro, ma non aveva nessuna ragione per non essere ottimista al riguardo. Dopo aver vissuto una prolungata adolescenza, anche per lei e per il fidanzato Larry (Jason Biggs) sarebbe arrivato infine il matrimonio, un lavoro stabile, la rispettabilità che ci si aspetta da due appartenenti all’alta borghesia americana. A scombinare tali previsioni pensa il sistema giudiziario americano, che la condanna a scontare quindici mesi nel carcere di Litchfield per un reato commesso anni prima per amore della sua fidanzata di allora, trafficante internazionale di droga. Piper, insieme agli spettatori, è quindi costretta ad inserirsi in un ambiente con il quale difficilmente avrebbe mai avuto a che fare nel suo mondo di quartieri per bene e case eleganti, e soltanto sfiorato durante i suoi anni di giovanile ribellione. 



Orange is the New Black è, sin dalla sua sigla, un telefilm corale: la storia di Piper è il filo rosso che ci guida alla scoperta di un universo che per molti degli spettatori non è (per fortuna) familiare. La divisione tra protagonisti e comprimari è quantomai liquida: spesso i personaggi fanno il loro ingresso sulla scena come macchiette apparentemente stereotipate per poi venire definiti maggiormente in un momento successivo, rivelando profondità imprevedibili. Ad essere maggiormente rappresentate dietro le sbarre sono, per ovvie ragioni, le fasce di popolazione più svantaggiate, che più facilmente commettono piccoli reati: un’America molto diversa da quella che siamo abituati a vedere trasmessa o proiettata sugli schermi, un paese pieno di tribù, clan, gruppi etnici con tradizioni e abitudini molto diverse tra loro, la cui difficile convivenza all'interno di uno spazio ristretto è sovente messa a rischio da faide. 


Inoltre, l’immagine cinematografica del carcere è per lo più legata alle strutture di detenzione per uomini e ai loro valori specifici, virilità, forza, coraggio; Litchfield è abitato da sole donne e, seppure spesso volino pugni o spintoni, le situazioni che si presentano sono in un certo qual modo differenti, come le abilità messe in gioco: gli scontri sono bracci di ferro figurati più che fisici, l’astuzia è una virtù importante per sopravvivere tanto quanto la capacità di dialogare. L’immagine di sé che si costruisce è più importante della propria effettiva pericolosità. Ciò però non significa che la punizione per essersi spinte troppo oltre in una lotta di potere o per aver pestato i piedi a qualcun’altra non possa essere estremamente violenta. Piper deve necessariamente imparare un ampio insieme di leggi non scritte, consuetudini reiterate, gerarchie tra detenute. Ogni comunità è un mondo parallelo che occasionalmente ne interseca un altro, forgiando o rescindendo alleanze. 


C’è anche molto affetto sotto le luci al neon: ci si riunisce in famiglie d’adozione, grandi amicizie nascono e muoiono, e naturalmente sbocciano o rifioriscono amori. Il contatto umano è un bisogno che è nessuna regolamentazione carceraria può soffocare; perfino le guardie, in qualche caso, intrecciano relazioni con le detenute. Se è difficile essere rinchiusi a scontare una pena, lo è anche sorvegliare chi lo sta facendo, e non è per nulla improbabile scoprirsi non in grado di ricoprire un ruolo tanto delicato. L’idealismo di chi spera di cambiare le cose con le proprie azioni è destinato a subire durissimi colpi. Essere nella posizione di dominare completamente qualcun altro, come nella vita reale quasi mai succede, può spingere alcuni – consapevolmente od inconsapevolmente – molto oltre il limite del moralmente lecito. Non sembra giusto, tuttavia, parlare di mostri, perché sono davvero pochi i personaggi che realmente possono ambire a tale titolo all’interno della serie, forse soltanto uno. Personaggi che sembrano supremamente perfidi e irrimediabilmente svitati rivelano, con il tempo, un volto umano. I flashback sono indizi che sta al pubblico mettere insieme per ricomporre il quadro – per forza di cose mai del tutto completo – di una certa personalità, le sue debolezze, le ferite che nessuna quantità di trucco può davvero nascondere. 


Orange is the New Black è principalmente la storia di persone che hanno sbagliato, che sbagliano e che sbaglieranno di nuovo in futuro, a vari livelli di gravità. Più che sull’errore, però, l’attenzione è posta su chi lo compie e sul perché, e vista la gran quantità di personaggi, la scelta e le possibilità non mancano. Ovviamente, una simile costruzione non starebbe in piedi senza la capacità di delineare caratteri interessanti e relazioni narrativamente fruttifere, ed in questo sta la vera forza del telefilm prodotto da Netflix. Fintantoché quest’elemento non verrà meno, Litchfield rimarrà un buon posto in cui curiosare durante il proprio tempo libero.

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