domenica 13 novembre 2016

Doctor Strange (Scott Derrickson, 2016)


Per il neurochirurgo di successo Stephen Strange (Benedict Cumberbatch) la vita è un orologio di lusso al polso, il cui quadrante segna un tempo apparentemente addomesticato dalla forza della propria ambizione; ogni cosa è al posto giusto, e il dottore passa da una sala operatoria all’altra con l’arroganza di chi crede di avere in mano le chiavi del mondo. Quando un terribile incidente d’auto manda in frantumi la sua carriera e la sua serenità, Strange, incapace di rassegnarsi ad accettare la tragedia che lo ha colpito, si spingerà fino all’altro capo del mondo alla ricerca di un modo per guarire le sue mani rovinate, finendo per trovare la porta d’ingresso di una conoscenza dalle proporzioni infinitamente più grandi di quelle della scienza medica.



Doctor Strange è, dopotutto, una storia di origini abbastanza convenzionale all’interno del genere cinecomic; ciò che forse più di ogni altra cosa lo eleva è la qualità del cast che si occupa di metterla in scena, a partire dal suo protagonista. Un personaggio geniale ed arrogante non è nulla di nuovo nella carriera di Benedict Cumberbatch, che infatti porta il film sulle proprie spalle con la giusta – e necessaria – dose di sicurezza, eleganza e vulnerabilità; una certa abilità nell’indossare con disinvoltura un mantello riccamente decorato, ovviamente, non guasta. Stephen Strange, nonostante le esplorazioni multidimensionali e gli incantesimi, è e rimane profondamente umano, e sotto la perfetta superficie del supereroe cinematografico si agita l’eterno dilemma tra grandi responsabilità e desideri – e traumi – personali che è uno dei più conosciuti marchi di fabbrica Marvel. La parabola dal sapore quasi favolistico dell’egoista che si apre al prossimo è affrontata con sufficiente cura, e si conclude in un finale sorprendente e divertente, che richiama altri simili scontri tra piccoli esseri umani e giganteschi esseri soprannaturali, vinti non grazie alla forza ma all’astuzia.


A fare da contraltare al dottor Strange e all’esotismo dell’ambiente in cui si ritrova immerso sono, oltre alla dottoressa Palmer (Rachel McAdams), il solido Mordo interpretato da Chiwetel Ejiofor e l’irremovibile Wong, cui presta le proprie sembianze Benedict Wong, mentre Tilda Swinton, nei panni dell’Antico, può sfoggiare tutto il proprio fascino extraterrestre, elargendo massime con sguardo sognante. Una critica che si è spesso mossa alla produzione Marvel è il poco spazio riservato all’approfondimento degli antagonisti: ciò rimane vero anche per Doctor Strange. Il Kaecilius portato in scena da un comunque molto bravo Mads Mikkelsen ha a malapena una coppia di scene in cui esprimere le sue idee e le motivazioni che lo spingono ad agire, occupando per la maggior parte del tempo il ruolo di aiutante del reale nemico, l’entità extradimensionale Dormammu. È innegabile che i film spediti in sala da Kevin Feige e associati siano molto più incentrati sulle figure dei propri protagonisti – e dei loro problemi – più che su ogni altra cosa, e non sarebbe corretto sostenere che sia una strategia completamente sbagliata, soprattutto inserendola nell’ottica di un franchise cinematografico – e non solo – estremamente ramificato, che quindi ha bisogno di appoggiarsi, per sopravvivere, a figure eroiche sufficientemente caratterizzate, in grado di essere punti di riferimento all’interno della galassia narrativa; tuttavia, un antagonista carismatico può servire anche da complemento al protagonista, rendendolo più interessante e spingendolo ad affrontare i propri turbamenti interiori, e sarebbe auspicabile vedere una dinamica del genere riapparire con più decisione nei cinecomic, dove sicuramente non manca un fertile terreno per il suo sviluppo.


Questo ed altri piccoli difetti, in ogni caso, non inficiano la complessiva gradevolezza del film costruito da Scott Derrickson, che riesce a barcamenarsi con successo tra i continui sbalzi dimensionali, ritagliandosi lo spazio anche per alcuni bei momenti tutti gestiti su particolari, incentrati, per ovvie ragioni, sulle mani; le scene scorrono fluidamente e senza intralciarsi, l’avventura avanza senza tempi morti e l’azione risulta tutto sommato per lo più convincente, coadiuvata da un buon impiego di CGI che fornisce l’adeguato sfondo multiforme a Doctor Strange. Lo spazio si spezza come un vetro, si dispiega come un ventaglio o si frammenta come un frattale, creando immagini suggestive e decisamente escheriane. La colonna sonora composta da Michael Giacchino emerge maggiormente rispetto agli altri film della scuderia Marvel, e pur restando sovente in secondo piano, quando gli è concesso di attrarre l’attenzione degli spettatori risulta accattivante, appropriata e ben ragionata. 


Con Doctor Strange, il misticismo e la magia entrano ufficialmente all’interno del MCU, e sarà certamente interessante vedere come ciò interagirà con il resto in futuro: la scena nel mezzo dei titoli di coda pare indicare che non dovremo attendere eccessivamente a lungo per saperlo.

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