giovedì 19 maggio 2016

Captain America: Civil War (Anthony e Joe Russo, 2016)

Il corpus narrativo dei film Marvel assomiglia ad un gigantesco ipertesto cinematografico: ogni parte è collegata ad un'altra da uno o più riferimenti, incarnati in un luogo, un avvenimento, un personaggio. La trama di Captain America: Civil War è strettamente allacciata al passato e al futuro dell'universo su schermo dei suoi supereroi. Il tema attorno al quale è costruita è molto interessante: la riflessione sui danni collaterali che scontri titanici possono comportare apre a scenari sfumati e molto vicini alla nostra realtà, dove scegliere il lato da cui schierarsi – tra libertà d'azione e responsabilità sofferta – può diventare una decisione difficile da prendere. 



Il lungo percorso di crescita affrontato da Tony Stark (Robert Downey Jr.) e Steve Rogers (Chris Evans) attraverso le precedenti pellicole li porta, sorprendentemente, agli antipodi di dove inizialmente li avremmo collocati: il miliardario inventore, continuando nel suo lento processo di acquisizione di responsabilità, iniziato traumaticamente con una scheggia nel cuore, accetta le ingerenze dei governi, che vorrebbero avere un maggior potere decisionale (o forse, diremmo con un po' di cinismo, più controllo) sulle azioni della squadra dei Vendicatori, mentre il supersoldato riemerso dal passato, dopo gli eventi di Captain America: The Winter Soldier (Anthony e Joe Russo, 2014), in cui le istituzioni in cui credeva sono crollate dall'interno, è fermo nel suo rifiuto di qualunque intromissione, accettando tutte le difficoltà che ciò può comportare. In mezzo ai due litiganti si pone Bucky Barnes (Sebastian Stan), il Soldato d'Inverno un tempo amico fidato di Rogers, poi diventato assassino micidiale e spietato per i servizi segreti russi; pare sua la mano dietro il terribile attentato durante la firma degli Accordi di Sokovia – il cui oggetto è, appunto, la regolamentazione delle azioni dei Vendicatori – a Vienna. Il capitano Rogers, tuttavia, non è del tutto convinto della colpevolezza del suo vecchio amico, come lui viaggiatore nel tempo giunto in un mondo molto diverso da quello che conosceva: farà di tutto per proteggerlo, dando vita ad uno scontro fratricida con Stark, alle cui ferite emotive che ne hanno formato la personalità ed il carattere ci avvicineremo sempre di più, con risvolti profondamente drammatici. La fine delle ostilità sarà segnata da un richiamo ad Iron Man 3 (Shane Black, 2013), con l'abbandono di un oggetto simbolico a segnalare la chiusura di una trilogia (ma, ovviamente, il lavoro sul singolo personaggio non è certo concluso).


A sostenere le due fazioni lungo la durata della vicenda pensa una nutritissima schiera di vecchie e nuove conoscenze, tra cui spicca la prima apparizione nel Marvel Cinematic Universe di un giovanissimo Spider-Man (Tom Holland), innocente, ciarliero e pieno di risorse, insieme ad Ant-Man (Paul Rudd) il più estraneo alle ragioni dello scontro. È proprio per questa ragione, forse, che i due sono responsabili dei momenti più spensieratamente divertenti del film. Alla Vedova Nera di Scarlett Johansson l'arduo compito, invece, di essere l'ago della bilancia e la voce della razionalità. Il vero antagonista del film rimane per gran parte del tempo defilato, lavora dietro le quinte; un uomo comune senza più nulla da perdere e capace, quindi, di portare avanti un piano suicida, consapevole dei propri limiti ed in grado di arrivare al suo scopo con caparbietà, creatività e realismo, simile, in questo, ai tanti uomini qualunque che negli ultimi mesi hanno infiammato l'Europa. Il fulcro della pellicola, forse, va ricercato nella pletora di dolorosi drammi umani che lasciano dietro di sé le catastrofi e gli scontri provocati da esseri potentissimi. Emerge, nel frattempo,  un'ulteriore domanda spinosa: è la comparsa dei supereroi a generare i loro antagonisti? È il nostro tentativo di difenderci da un supposto pericolo a renderlo reale? Per ora non è possibile trovare una chiara risposta, né nel mondo fittizio né in quello vero dei finanziamenti ai movimenti di guerriglia, delle influenze estere all'interno dei governi, delle missioni armate nel nome della pace. La saga del primo vendicatore, come altri recenti film dello stesso filone, si propone di essere una riflessione degli Stati Uniti su se stessi.


Captain America: Civil War è pieno fino all'orlo di combattimenti, eventi, tradimenti: ad un punto tale che in più di un momento sembra di assistere ad una sorta di compilation delle scene migliori tratte da almeno tre o quattro film, e si sente addirittura la mancanza di qualche momento morto per mettere a riposo le sinapsi e i nervi ottici. I tanti personaggi sono incastrati nei ferrei ingranaggi di un meccanismo saldo ma molto rigido, e spesso il tempo che hanno a disposizione per presentarsi, evolvere e svilupparsi è assai limitato; ogni secondo è sfruttato al massimo delle sue possibilità. La regia dei fratelli Russo, per quanto cristallina e luminosa, manca un po' di carattere: gli scontri a mani nude, che in Captain America: The Winter Soldier sorprendevano per la loro pulizia e sincerità, tendono dopo un po' ad assomigliarsi l'uno con l'altro, mancano dell'inventiva necessaria per rimanere visivamente interessanti. La colonna sonora fa il suo lavoro senza avventurarsi in territori inesplorati.


Anche se priva di una regia davvero incisiva ed in grado di destreggiarsi nelle pericolose anse di una trama molto arzigogolata, suddivisa tra una gran quantità di gruppi di personaggi e con enormi variazioni di atmosfera ed obiettivi, l'ultima corazzata Marvel ha molto da dire e da portare avanti in due ore e mezza, più di quanto ci si sarebbe potuto aspettare, e questo va riconosciuto. Il percorso dei due personaggi principali – Steve Rogers e Tony Stark – è chiaramente espresso, e anche chi ha molto meno spazio – come Pantera Nera, interpretato da Chadwick Boseman – mostra qualche evoluzione caratteriale. Captain America: Civil War mette particolarmente in evidenza pregi e difetti della logica seriale che caratterizza i prodotti dei Marvel Studios: da un lato, quest'ultima struttura narrativa offre la possibilità di raccontare storie più complesse di quanto un singolo film di due ore potrebbe mai fare, fideizzando così il pubblico e permettendo ai personaggi di viaggiare all'interno del loro universo condiviso, ma dall'altro le pellicole sono anche un delicato lavoro di equilibrio, con il rischio costante di precipitare nel caos, nel disordine. I fratelli Russo sfiorano spesso quest'ultima trappola, e a volte vi cadono; ma il film, dopotutto, sta in piedi principalmente grazie alla sua sceneggiatura (scritta da Christopher Markus e Stephen McFeely) che, pur incentrandosi su avvenimenti spettacolari, non dimentica mai gli esseri umani al centro di essi che ne sono la causa scatenante, riuscendo a non perdere il proprio cuore pulsante in mezzo al fragore delle esplosioni.

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