Unfriended (Levan Gabriadze, 2014)
Le vaste pianure di Internet sono da
sempre l'ambiente ideale per la creazione e la diffusione di leggende
urbane dai toni più o meno foschi: le creepypasta, le loro più
recenti incarnazioni, sono piccoli racconti dell'orrore generalmente
anonimi che si espandono a macchia d'olio grazie alle condivisioni e
al copia-incolla (da qui il nome, unione di creepy e del termine
gergale copypaste). I social network, inoltre, in seguito al loro
enorme sviluppo ci hanno obbligato a porci alcune domande scomode:
per esempio, cosa succede ai profili online di una persona nel caso
in cui questa muoia? Unfriended, un piccolo horror indipendente
diretto da Levin Gabriadze e scritto da Nelson Greaves, gioca con
tali idee e suggestioni in maniera interessante.
Un gruppo di adolescenti americani si
ritrova, una sera, in una videochiamata di gruppo su Skype per
parlare del più e del meno. Nella loro conversazione, però, fa il
suo ingresso un utente misterioso che non sembra possibile escludere
o bloccare, e che è del tutto deciso a rivelare in ogni modo i
loro segreti più scabrosi. Ben presto lo strano fenomeno si
collegherà al suicidio di una delle loro compagne di scuola, piegata
da pesanti episodi di bullismo.
La storia di per sé è molto semplice
e, a parte forse per l'ambientazione, non particolarmente originale:
l'idea che lo spirito di una persona morta in circostanze violente
possa tornare dall'oltretomba per vendicarsi è una delle più
utilizzate all'interno del genere. Ciò grazie a cui Unfriended
riesce a distinguersi dalla massa di film horror a basso costo che si
affacciano sul mercato ogni giorno è la messa in scena. Il film è
infatti composto da un unico pianosequenza della durata di 83 minuti,
totalmente incentrato sullo schermo della protagonista, Blair
(Shelley Hennig). Oltre ai dialoghi, ciò che la ragazza fa sul
proprio desktop, i messaggi che legge e a cui risponde, i file che
scarica, le immagini che guarda, la musica che fa partire e le pagine
web che visita compongono la narrazione, in maniera peraltro del
tutto realistica. Blair scrive separatamente ai suoi compari e
qualche volta modifica e cancella le parole, comunicandoci così,
silenziosamente, le sue incertezze e i suoi timori. Gli svariati
stratagemmi con cui i sei amici tentano di sciogliere il mistero o
liberarsi dell'ospite indesiderato suoneranno famigliari a chiunque
abbia mai utilizzato un computer. L'immedesimazione, ovviamente, è
spinta al massimo, e ci si chiede se un film simile non sia concepito
per dare il meglio di sé visto in solitudine davanti al proprio portatile, con le cuffie in testa.
Mettere gli spettatori nella
condizione di fissare lo schermo di un computer per un'ora e mezza
avrebbe potuto facilmente rivelarsi una scelta fallimentare: c'era il concreto rischio di avere dei tempi morti risolti solo dai più
classici spaventi improvvisi. Questi ultimi sono innegabilmente
presenti nella seconda parte di Unfriended, ma per lo più il film si
regge senza di essi, poggiato su una coreografia studiata e su delle
prove recitative molto buone, dovute anche, forse, al sistema
utilizzato per girare il film. Gli attori, posti in stanze diverse di
una stessa casa e collegati gli uni con gli altri grazie ai pc, hanno
interpretato la loro parte all'interno di long-take in alcuni casi
comprendenti l'intera vicenda, con ampio spazio per l'improvvisazione
e cambiamenti dell'ultimo minuto comunicati dal regista tramite degli
auricolari, in modo che le loro reazioni fossero il più possibile
naturali. Il crescere della tensione segue un andamento graduale ma
inesorabile, il gioco al massacro si fa sempre più evidente e
spietato con il passare dei minuti.
Anche se ispirato al caso di AmandaTodd, un'adolescente canadese suicidatasi nel 2012 dopo aver ricevuto
ripetute molestie ed ingiurie online, Unfriended non è certo un
trattato sociale. È piuttosto un'opera che si inserisce
perfettamente nelle dinamiche del mondo dei giovani di oggi,
assumendo, se vogliamo, i contorni della cautionary tale, ovvero di
un racconto volto a mettere in guardia su di un particolare pericolo.
Quello che arriva allo spettatore è un horror che centra
l'obbiettivo e che, pur scegliendo una messa in scena non facile da
gestire, riesce a non crollare su se stesso. Magari non sarà un
esperimento cinematografico destinato a restare negli annali della
storia del cinema, ma riesce con successo a distinguersi all'interno
di un genere decisamente sovraffollato.
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