martedì 3 maggio 2016

Unfriended (Levan Gabriadze, 2014)


Le vaste pianure di Internet sono da sempre l'ambiente ideale per la creazione e la diffusione di leggende urbane dai toni più o meno foschi: le creepypasta, le loro più recenti incarnazioni, sono piccoli racconti dell'orrore generalmente anonimi che si espandono a macchia d'olio grazie alle condivisioni e al copia-incolla (da qui il nome, unione di creepy e del termine gergale copypaste). I social network, inoltre, in seguito al loro enorme sviluppo ci hanno obbligato a porci alcune domande scomode: per esempio, cosa succede ai profili online di una persona nel caso in cui questa muoia? Unfriended, un piccolo horror indipendente diretto da Levin Gabriadze e scritto da Nelson Greaves, gioca con tali idee e suggestioni in maniera interessante. 



Un gruppo di adolescenti americani si ritrova, una sera, in una videochiamata di gruppo su Skype per parlare del più e del meno. Nella loro conversazione, però, fa il suo ingresso un utente misterioso che non sembra possibile escludere o bloccare, e che è del tutto deciso a rivelare in ogni modo i loro segreti più scabrosi. Ben presto lo strano fenomeno si collegherà al suicidio di una delle loro compagne di scuola, piegata da pesanti episodi di bullismo. 


La storia di per sé è molto semplice e, a parte forse per l'ambientazione, non particolarmente originale: l'idea che lo spirito di una persona morta in circostanze violente possa tornare dall'oltretomba per vendicarsi è una delle più utilizzate all'interno del genere. Ciò grazie a cui Unfriended riesce a distinguersi dalla massa di film horror a basso costo che si affacciano sul mercato ogni giorno è la messa in scena. Il film è infatti composto da un unico pianosequenza della durata di 83 minuti, totalmente incentrato sullo schermo della protagonista, Blair (Shelley Hennig). Oltre ai dialoghi, ciò che la ragazza fa sul proprio desktop, i messaggi che legge e a cui risponde, i file che scarica, le immagini che guarda, la musica che fa partire e le pagine web che visita compongono la narrazione, in maniera peraltro del tutto realistica. Blair scrive separatamente ai suoi compari e qualche volta modifica e cancella le parole, comunicandoci così, silenziosamente, le sue incertezze e i suoi timori. Gli svariati stratagemmi con cui i sei amici tentano di sciogliere il mistero o liberarsi dell'ospite indesiderato suoneranno famigliari a chiunque abbia mai utilizzato un computer. L'immedesimazione, ovviamente, è spinta al massimo, e ci si chiede se un film simile non sia concepito per dare il meglio di sé visto in solitudine davanti al proprio portatile, con le cuffie in testa. 


Mettere gli spettatori nella condizione di fissare lo schermo di un computer per un'ora e mezza avrebbe potuto facilmente rivelarsi una scelta fallimentare: c'era il concreto rischio di avere dei tempi morti risolti solo dai più classici spaventi improvvisi. Questi ultimi sono innegabilmente presenti nella seconda parte di Unfriended, ma per lo più il film si regge senza di essi, poggiato su una coreografia studiata e su delle prove recitative molto buone, dovute anche, forse, al sistema utilizzato per girare il film. Gli attori, posti in stanze diverse di una stessa casa e collegati gli uni con gli altri grazie ai pc, hanno interpretato la loro parte all'interno di long-take in alcuni casi comprendenti l'intera vicenda, con ampio spazio per l'improvvisazione e cambiamenti dell'ultimo minuto comunicati dal regista tramite degli auricolari, in modo che le loro reazioni fossero il più possibile naturali. Il crescere della tensione segue un andamento graduale ma inesorabile, il gioco al massacro si fa sempre più evidente e spietato con il passare dei minuti.


Anche se ispirato al caso di AmandaTodd, un'adolescente canadese suicidatasi nel 2012 dopo aver ricevuto ripetute molestie ed ingiurie online, Unfriended non è certo un trattato sociale. È piuttosto un'opera che si inserisce perfettamente nelle dinamiche del mondo dei giovani di oggi, assumendo, se vogliamo, i contorni della cautionary tale, ovvero di un racconto volto a mettere in guardia su di un particolare pericolo. Quello che arriva allo spettatore è un horror che centra l'obbiettivo e che, pur scegliendo una messa in scena non facile da gestire, riesce a non crollare su se stesso. Magari non sarà un esperimento cinematografico destinato a restare negli annali della storia del cinema, ma riesce con successo a distinguersi all'interno di un genere decisamente sovraffollato.

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