sabato 17 dicembre 2016

Rogue One: A Star Wars Story, la recensione senza spoiler


La prima cosa che il pubblico abbia mai saputo di Star Wars, ormai trentanove anni fa, è che tanto tempo fa, in una galassia lontana lontana, dilaniata da una guerra civile, un gruppo di spie ribelli era riuscito a sottrarre i piani dell’arma più potente dell’Impero Galattico durante una battaglia. Si trattava di un manipolo di partigiani senza volto, presto messi in secondo piano dalla fiaba spaziale di Una nuova speranza. Da quel cumulo di caratteri gialli su fondo nero stellato è partita la Lucasfilm per sviluppare Rogue One: A Star Wars Story, affidando poi la regia a Gareth Edwards, giovane filmmaker britannico reso celebre da Monsters (qui la mia recensione) ed ambientatosi nel mondo dei blockbuster faraonici con il film di Godzilla uscito nel 2014. Nel primo spin off della galassia lucasiana tutti rischiano, davanti e dietro la macchina da presa: e, se sapevamo per certo che il furto dei documenti imperiali sarebbe riuscito, era più difficile prevedere se l’insidiosa scommessa fatta da Kathleen Kennedy si sarebbe rivelata vincente. All’indomani dell’uscita mondiale della pellicola la risposta a tale domanda è in gran parte positiva.



Rogue One, fin dalla sua prima inquadratura, dichiara di essere insieme molto simile e molto diverso dalla saga incentrata sulle sorti della famiglia Skywalker, in più di un modo. Se affettuosamente familiari risultano le suppellettili e le astronavi, profondamente diversi sono i toni. L’atmosfera è scura e pesante: l’Impero è al massimo del suo potere dopo due decenni di dominio. Le forze governative dispongono a proprio piacimento dei destini di tutti. La speranza è un lumicino lontano, qualcosa a cui si crede per fede, perché non resta altro a cui aggrapparsi. All’orizzonte non si vedono aitanti eroi dagli occhi azzurri e dai capelli biondi, ma solo uomini e donne provati dalla guerriglia, incrudeliti dalla lunga frequentazione con la violenza. Più che di bianchi e di neri, Rogue One è pieno di grigi. Nel mezzo di tutte queste sfumature si trova Jyn Erso (Felicity Jones), figlia dello scienziato Galen Erso (Mads Mikkelsen), ricercata dall’Alleanza Ribelle per un preciso motivo. Eppure, per quanto ella sia chiaramente la protagonista della pellicola, i personaggi che la affiancheranno saranno altrettanto importanti, e gli sceneggiatori Chris Weitz e Tony Gilroy fanno in modo che ognuno di loro abbia un carattere e una posizione sulla scacchiera via via più definita, ed oltre a ciò intessono – insieme a Gary Whitta e John Knoll, autori del soggetto – una storia che non ha paura di avvicinarsi ad Una nuova speranza più di quanto avrebbe potuto suggerire la prudenza, e il coraggio, almeno in questo caso, paga.


La conoscenza approfondita degli effetti visivi di Gareth Edwards, campo nel quale ha lavorato per quasi un decennio in ambito televisivo, fa bella mostra di sé in Rogue One: è difficile trovare un’inquadratura di battaglia spaziale che non sia puramente e semplicemente spettacolare. Quando l’obbiettivo oltrepassa l’atmosfera e ritorna a poggiare i metaforici piedi per terra tutto diventa più sporco, rozzo, tremolante, come se l’operatore fosse un reporter in una zona di guerra, impegnato a seguire una piccola cellula ribelle che lotta per la sopravvivenza. Gli scontri sono crudi e realistici, i corpi vengono sbalzati in aria dalle esplosioni, la polvere si attacca alla pelle, i civili finiscono in mezzo alle rappresaglie. Pare che per visualizzare l’atmosfera del film Gareth Edwards abbia utilizzato foto di reali scontri bellici, trasformando i veri combattenti in personaggi di Star Wars. È un approccio molto lontano da quello estremamente stilizzato tipico dei film di George Lucas, e che offre un nuovo, interessante punto di vista sull’ormai familiare galassia.


Per quanto riguarda la colonna sonora, Michael Giacchino ricopre molto bene il ruolo di pseudo-Williams: le sonorità ed i temi spesso sono rielaborazioni di quelli che già conosciamo, ma considerato il poco tempo a disposizione per la composizione e la pesantissima eredità da onorare, il risultato è più che dignitoso e complessivamente piacevole e, dopotutto, Rogue One probabilmente non era neppure il film dell’universo di Star Wars più adatto ad ospitare delle sperimentazioni, almeno per quanto riguarda la musica. In un panorama molto diverso per impostazione e concezione da quello della trilogia originale, un forte elemento di continuità è ben accolto. L’unica nota stonata ad uscire dalle casse della sala cinematografica è quella del doppiaggio e dell’adattamento, ad un primo ascolto non sempre di ottima qualità, in alcuni casi evidentemente fuori luogo.


Rogue One è forse più che ogni altro un film per i fan: la sua stessa posizione a cavallo tra le due trilogie lo rende il migliore candidato ad essere il perfetto crocevia per il grande regno multimediale che si è sviluppato attorno alle sette pellicole. I riferimenti si sprecano, i cammei sono tantissimi, probabilmente troppi e spesso non strettamente necessari, volti unicamente a solleticare l’appassionato. Tra gli antagonisti si palesano alcuni volti noti sui quali forse ci si appoggia troppo frequentemente, soffocando a tratti il direttore Orson Krennic (Ben Mendelsohn), che pure dovrebbe essere il principale avversario della missione. Soprattutto nella sua prima parte, Rogue One appare un po’ frammentario, come se si stessero scorrendo le pagine di una raccolta di fumetti dell’universo espanso. I cambi di scena sono continui, così fulminei che a volte ci si sente letteralmente sballottati da un pianeta all’altro, e i personaggi da introdurre sono parecchi.


Il punto è che i tanti fili di cui è composta la storia di Rogue One convergono nel suo finale come spinti da una grande forza di gravità: è nel suo ultimo terzo, quello che a priori sembrerebbe il più scontato, che Gareth Edwards ci porta davvero lontano nel tempo e nello spazio. È quando la speranza è ad un soffio dal realizzarsi che essa diventa più fragile, pronta a spezzarsi in ogni momento sotto la brutalità delle forze contrarie: ogni passo in avanti costa lacrime e sangue. Anche se da qualche parte dentro di noi sappiamo bene che i piani della Morte Nera arriveranno nelle mani di una principessa di bianco vestita, non possiamo fare a meno di temere il contrario: è la magia del cinema, avveratasi ancora una volta. All’arrivo dei titoli di coda, abbandoniamo le poltrone che ci hanno ospitato per le due ore appena trascorse provando un nuovo rispetto per le non più misteriose spie ribelli di trentanove anni fa, esseri ruvidi, che sono stati feriti ed hanno ferito senza battere ciglio, eppure in grado di farsi eroi nel momento più difficile, dando prova di estremo e commovente altruismo. Non ci sarebbe stata nessuna medaglia al collo del giovane contadino Luke Skywalker se anche soltanto uno di loro fosse mancato. Gli onori e la gloria che altri hanno raccolto si sono fondati sull’abnegazione e sulla forza di volontà di molti anonimi combattenti per la libertà, pronti a dare il proprio contributo, qualunque fosse il costo: così nella galassia come sulla Terra.

1 commento:

  1. In gran parte d'accordo....anche se penso meriti un ulteriore critica negativa la recitazione e le diverse scene abbastanza inutili. Inoltre trovo troppo rapido e confusionato il susseguirsi degli eventi e dei personaggi (forse troppi e non tutti necessari). Senza alcun dubbio merita il Coraggio dimostrato nel cercare di creare un film legato alle saghe di Star Wars, ma diverso dai film precedenti per quanto rigurda toni, atmosfere e comportamento dei personaggi. Nel complesso quindi, secondo me, un film mediocre....in cui si vede lo stampo troppo pesante della Walt Disney, come già successo nel precedente film Star Wars VII: Il Risveglio della Forza (che nel complesso mi è piaciuto di più del film oggetto di recensione, probabilmente perchè io sono riusdcito a vederlo come un film omaggio alla prima trilogia XD)

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