Manchester by the Sea, la recensione
Lee Chandler (Casey Affleck) è il portinaio e spesso e volentieri
tuttofare di un grande condominio di Boston, una presenza silenziosa
ed evanescente che ripara i guasti e tiene in ordine. Conduce una
vita solitaria, quasi monastica, passata in gran parte all’interno
dei palazzi in cui lavora o nello scantinato spoglio in cui abita; i
rapporti umani sono ridotti al minimo. Dovendosi occupare del nipote
dopo la morte del fratello, Lee è costretto a tornare nella sua
cittadina natale, Manchester-by-the-Sea, e a rivangare dolorosi
ricordi.
Scritto e diretto da Kenneth Lonergan grazie ad un suggerimento
arrivato da Matt Damon, che figura come produttore ma che
inizialmente, prima che sorgessero problemi con le tempistiche,
avrebbe dovuto essere anche regista ed attore principale del
progetto, Manchester by the Sea è un delicato esercizio di
sottrazione. Al centro del suo soggetto c'è una vicenda cupa e
straziante, eppure, fatta eccezione per un lungo flashback, il tono è
lieve e sorprendentemente venato di commedia. L'oscurità è dipinta
ad acquerello, in strati talmente sottili da trasformarla in un'ombra
spesso quasi invisibile ma impossibile da dimenticare, capace di
impregnare ogni battuta. Le inquadrature sono semplici e classiche, i
colori usati lividi e freddi; sugli esterni domina un cadaverico velo
azzurrino che si stende su tutto e tutti. Il ghiaccio che stringe
nella sua morsa il terreno attanaglia anche i cuori, ricopre le
ceneri e le cicatrici indelebili di un incendio lontano nel tempo ma
non nella mente. La colonna sonora, presumibilmente approntata per
porsi in contrasto con la purissima semplicità e linearità della
messa in scena, è forse in qualche caso un po’ troppo ridondante;
fornisce a certe sequenze una calcata sottolineatura emotiva che forse
non era davvero necessaria.
La recitazione di Casey Affleck è, come la sceneggiatura,
estremamente minimalista. Gli occhi tristi di Lee ci dicono fin dalla
prima scena che su di lui grava un peso terribile, al quale
inizialmente non sappiamo dare un nome. La sua vita da recluso
presenta gli evidenti tratti della punizione; una misurata
sublimazione del lutto, oltre la disperazione ed il dolore, il più
possibile lontano dalla ex-moglie Randi (Michelle Williams), che a
differenza dell'ex-marito cerca in ogni modo di riempire il grande vuoto
che le si è spalancato davanti, probabilmente senza successo ma con
commovente ingenuità. L’imbarazzato dialogo tra loro due è la
manifestazione fisica di un abisso emotivo che nessuna parola, tanto sincera
quanto inefficace, può richiudere. Il piccolo mondo che Lee si è costruito attorno è
solitario e volontariamente isolato, e non contempla la presenza di
nipoti bisognosi di una figura adulta a cui affidarsi. Patrick,
interpretato da Lucas Hedges, è a tutti gli effetti un adolescente
più che credibile, continuamente diviso tra la volontà di
dimostrarsi virile e il desiderio di veder rassicurate le
inquietudini che il suo traumatico atterraggio nel mondo degli adulti
comporta. Le circostanze instaurano tra zio e nipote un rapporto di
dipendenza che entrambi vorrebbero recidere, senza poterlo fare; ad
impedire l’abbandono o la riunione i lutti. Così, se il terreno congelato impedisce categoricamente lo svolgimento dei funerali, in maniera simile nel
passato di Lee c’è una voragine sulla quale è del tutto
utopistico pensare di stendere un ponte. Non resta, dunque, che una
sola cosa da fare: il finale del film è, infatti, in un certo senso
controintuitivo. L’unica guarigione possibile è quella che accetta
la sua impossibilità.
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