martedì 24 novembre 2020

Scherzi del destino: La casa di Jack (The House That Jack Built, Lars Von Trier, 2018)

 

«La scelta è tua», afferma Virgilio (Bruno Ganz) accomiatandosi dal protagonista Jack (Matt Dillon), il freddo e spietato serial killer che ha accompagnato fino al fondo dell’Inferno, ingaggiando con lui una discussione che si dipana per tutto il film. Tale dialogo è scandito dal racconto di cinque efferati omicidi, scelti tra i molti compiuti nell’ossessiva ricerca di un’artistica e gelida perfezione da raggiungersi attraverso l’utilizzo di un’umanità che, una volta privata della vita, non è altro che materiale plasmabile; in questa idea è presente, in un certo senso, un rovesciamento blasfemo del tocco divino che genera la vita. 

Virgilio dichiara che la destinazione finale di Jack è in realtà un paio di cerchi più in alto, ma che, per ringraziarlo dell’interessante conversazione, lo ha portato fin laggiù, avendo compreso il suo interesse a conoscere quanto più possibile. Il luogo in cui si trovano è una cavità circolare scavata nella roccia viva, al centro della quale scorre continuamente una cascata di lava, dominata da un ronzio assordante generato dalle urla di dolore dell’infinita moltitudine di persone condannate alla sofferenza eterna, presumibilmente intrappolate sul fondo dell’abisso. Al centro dello strapiombo vi è un ponte crollato; Virgilio risponde gentilmente alle domande di Jack, e gli racconta come un tempo fosse integro, e che la scalinata dall’altro lato di esso rispetto a loro porta al di fuori dell’Inferno. Molti hanno provato ad arrampicarsi sulle pareti per raggiungerla, ma nessuno è riuscito nell’impresa. Jack decide di tentare a sua volta nonostante l’altro rischio, scelta che Virgilio accetta di buon grado, salutandolo e lasciandolo alla sua impresa. Il protagonista riesce a procedere per un pezzo, ma infine si ritrova privo di appigli e precipita, condannandosi ad una punizione peggiore di quella che, almeno secondo quanto detto, avrebbe meritato. È davvero così? Non è un po’ curioso, a ben pensarci, che Virgilio gli permetta di compiere un’azione certamente destinata ad un tremendo fallimento, se la sua intenzione nel condurlo in quel luogo era soltanto quella di fargli un favore? Non potrebbe essere, invece, che lo abbia portato là ben cosciente che Jack, considerandosi arrogantemente superiore a tutti gli altri, avrebbe creduto di poter compiere quello in cui tutti avevano fallito, incapace di realizzare che il suo destino non sarebbe stato diverso? 

Potrebbe perfino darsi, a ben guardare, che il protagonista fin dall’inizio fosse destinato a terminare il suo viaggio lì. Gli orrendi crimini di cui si è macchiato giustificherebbero in effetti una simile condanna. Quello di Virgilio potrebbe essere, dopotutto, nient’altro che un inganno necessario al compimento della punizione, che è resa ancora più bruciante dal fatto di essere autoinflitta. Se così fosse, la natura dell’aldilà nell’opera di Von Trier sarebbe molto beffarda: si rivelerebbe essenzialmente impegnato a prendersi gioco delle sue vittime, e quindi piuttosto distante dal sistema preciso e ossessivamente corretto ed equilibrato rappresentato da Dante nella Divina Commedia, che pure è chiaramente preso a riferimento. Ripercorrendo le scene precedenti, ci si chiede se sia veramente presente in esse l’ombra di un’entità superiore che abbia interesse ad amministrare la giustizia in cielo e in terra; la risposta pare negativa. È impossibile spiegarsi, altrimenti, come sia possibile che Jack compia le proprie nefandezze senza alcuna conseguenza, soprattutto per quanto riguarda il secondo «incidente», in cui compie un sacco di errori che potrebbero ricondurre le forze dell’ordine a lui, ma che si conclude con quello che sembra un segno di assurda benevolenza divina, forse null’altro che un semplice ed incredibilmente improbabile caso. Ad ogni modo, il dubbio resta.

Analogamente è sospetta l’incitazione di Virgilio a Jack nel momento in cui gli appare, quando quest’ultimo è ormai intrappolato dalla polizia nella cella frigorifera dove conserva i cadaveri delle proprie vittime; lo spirito lo invita infatti a compiere l’opera che tenta di portare a termine da una vita intera, la costruzione di una casa, espressione del suo sogno frustrato di essere architetto invece che ingegnere, servendosi dell’unico materiale che ha a disposizione, i corpi umani che ha accumulato. È una creazione mostruosa e amorale, e non si capisce perché un poeta come Virgilio dovrebbe addirittura incoraggiarne l’esistenza

Forse la risposta a tutte queste domande è una sola: la fondamentale indifferenza divina nei confronti dell’umanità. Gli uomini e le loro vicende, per chi abita le sfere superiori, non sono null’altro che un passatempo per sfuggire alla noia che li attanaglia. La giustizia è somministrata quasi con disinteresse, e ogni distrazione – anche le chiacchiere di un serial killer psicopatico – è ben accolta. La punizione di Jack, allora, è certamente sensata da un punto di vista morale, ma pare soprattutto lo scherzo di un destino che ha trovato come divertirsi per qualche istante. È una visione cupa e nichilista che in fondo ben si adatta a La casa di Jack.

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