mercoledì 24 febbraio 2016

L'ultima parola – La vera storia di Dalton Trumbo (Trumbo, Jay Roach, 2015)


Quanto ci piacciono le storie di uomini che resistono – alla società, alle leggi, all'ingiustizia, alla natura; mirabili esseri umani, che invece di arrendersi, come pure molti farebbero di fronte ad un destino avverso, lottano con ancor più furia e determinazione. L'ultima parola – La vera storia di Dalton Trumbo (ennesima vittima, ahimè, della mania italiana di sostituire titoli semplici e chiari con altri prolissi e poco ispirati, cercando inutilmente, almeno a mio parere, di spiegare allo spettatore italiano la trama del film) racconta la vita di un simile appartenente al genere umano: sceneggiatore di successo nella Hollywood anni quaranta, fu una delle vittime della “caccia alle streghe” portata avanti dalle frange più conservatrici, determinate a scovare fantomatiche spie e supposti simpatizzanti comunisti nella fabbrica dei sogni californiana. Trumbo, comunista iscritto al partito, rifiutò di collaborare e oppose strenua resistenza ad ogni tentativo di strappargli una dichiarazione di appartenenza politica, finendo in carcere e trovandosi costretto, successivamente, a scrivere sotto falso nome e ad accettare di lavorare per una casa di produzione di infima qualità, escogitando sistemi via via più complicati per restare nell'anonimato. Soltanto molti anni dopo gli saranno ufficialmente riconosciuti i premi Oscar vinti per la sceneggiatura di Vacanze Romane (Roman Holiday, William Wyler, 1953) e La più grande corrida (The Brave One, Irving Rapper, 1956), originariamente attribuiti a prestanomi o a scrittori del tutto inventati.


Il vero Dalton Trumbo

Tutto ruota, in un certo senso, attorno alle parole, e in un film così tanto dialogato, privo di momenti dal respiro un po' più dilatato, si sente la mancanza di una regia più visivamente incisiva, in grado di sfruttare le immagini per arricchire e approfondire il racconto, piuttosto che per illustrarlo. È bene notare come la regia, comunque, svolga diligentemente il suo dovere, pur non presentando apprezzabili picchi di creatività. La parte del leone è affidata alle performance degli attori, protagonisti o meno. Anche quelli a cui è affidato il compito di dipingere un breve ritratto, di un personaggio storico oppure inventato ai fini della trama, sono nella condizione di esprimersi in maniera più che buona. Helen Mirren presta il proprio volto alla giornalista di gossip Hedda Hopper, fedelmente votata alla causa anticomunista forse – nell'interpretazione fornita dal film – anche per alcuni interessi personali, autrice di una rubrica pungente, della quale si serve per influenzare l'opinione pubblica. Ovviamente svetta su tutti con sicurezza ed abilità Bryan Cranston nel ruolo del protagonista; riesce a rendere interessanti anche le estenuanti sessioni di scrittura dello sceneggiatore, disseminate di fronti aggrottate, borbottii, bottiglie di superalcolici, sigarette a profusione e pillole.


Trumbo è presentato come un uomo impegnato in una lotta quasi impossibile con il sistema, testardamente convinto della giustezza del suo operato nonostante le difficoltà sociali ed economiche e le crescenti tensioni familiari, senza glissare sulle umane contraddizioni della sua condotta. I dialoghi in cui si discutono le sue convinzioni politiche e personali sono tra i più interessanti, insieme a quelli che tratteggiano il rapporto con la figlia maggiore alla ricerca della libertà che la crociata del padre le ha tolto. La chiusura è efficace, anche se forse un po' troppo didascalica, e le scene tratte dai film sceneggiati dal protagonista sono inserti piacevoli e ben integrati.


In conclusione, c'è prevalentemente un motivo per cui L'ultima parola – La vera storia di Dalton Trumbo non riesce a trascendere il particolare per arrivare a quella validità universale che rende alcuni biopic capaci di diventare più che racconti romanzati della vita di uno speciale essere umano: una regia poco inventiva per quanto corretta e pulita, di certo non aiutata da una fotografia piuttosto piatta e in fondo un po' anonima. Ciò non toglie, tuttavia, che il risultato finale sia un buon film con una sceneggiatura scritta con cura (era d'obbligo) ed un soggetto interessante, portato in scena con artigianale maestria dal cast.

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