martedì 16 febbraio 2016

Fuga dal mondo dei sogni (Cool World, Ralph Bakshi, 1992)



Ultimo lungometraggio diretto da Ralph Bakshi, regista d'animazione noto principalmente per Fritz il gatto (Fritz the Cat, 1972) e Il Signore degli Anelli (The Lord of the Rings, 1978), Fuga dal mondo dei sogni non è esattamente un film che consiglierei a chiunque di vedere. 

Tanti grandi capolavori hanno visto la luce dopo produzioni travagliate, ma non è questo il caso: la pellicola porta tutti i segni dei violenti contrasti avvenuti tra Bakshi, che aveva in mente una storia macabra e violenta sui rischi del sesso occasionale, e la Paramount, il cui produttore, Frank Mancuso Jr. (figlio dell'allora presidente della mayor), fece riscrivere la sceneggiatura stravolgendola e, presumibilmente, privandola del tutto del suo carattere originario con l'obbiettivo di ottenere un'opera più mite e con un rating meno restrittivo. Quello che rimane è l'ombra di quello che, con meno rimaneggiamenti, avrebbe potuto diventare il precursore di Sin City (2005, Robert Rodriguez, Frank Miller, Quentin Tarantino), invece di essere un buco nell'acqua sia per la critica che per il pubblico; la prima ne apprezzò infatti soltanto la ricca colonna sonora, comprendente artisti del calibrio di David Bowie, Brian Eno e Moby.


Costruita unendo riprese live-action e animazioni, la pellicola ruota intorno a una storia fragile, tenuta insieme da un filo sottile che pare sempre sul punto di spezzarsi: al centro c'è Holli Would (Kim Basinger), una procace abitante dello sregolato e caotico Mondo Furbo (Cool World nell'originale), universo animato che Deebs (Gabriel Byrne), capace disegnatore con qualche problema con la legge, crede di aver creato; la sensualissima bionda – il cui nome è, ovviamente, un gioco di parole evidentissimo – ha una sola ossessione: fare sesso con un essere umano per diventarlo a sua volta e poter sperimentare tutte le sensazioni che un corpo vero può dare. Il poliziotto Frank (Brad Pitt), passato dal mondo reale a quello animato dopo un tragico incidente, cercherà in ogni modo di impedirglielo.


L'inevitabile paragone con Chi ha incastrato Roger Rabbit (Who Framed Roger Rabbit, Robert Zemekis, 1988), uscito nei cinema soltanto quattro anni prima, non giova di certo: mentre quest'ultimo è un prodotto esemplare della migliore industria hollywoodiana, Fuga dal mondo dei sogni appare piuttosto come l'esperimento di un regista di film indipendenti, una trasposizione a cartoni animati di una fanzine fotocopiata


Gli attori sono chiaramente spaesati e spesso, durante i dialoghi con i personaggi animati, il loro sguardo perso mette in mostra l'artificio: riprese dal vero e disegni finiscono spesso per non amalgamarsi, come uno zabaione malriuscito. La scena di sesso tra umano e cartone animato è coraggiosa e probabilmente unica nel suo genere, ma limitata dal non poter osare troppo. Il design degli abitanti di Mondo Furbo è altalenante, a volte curioso ed interessante ed altre un po' banale. L'elemento visivamente più attrattivo sono indubbiamente gli sfondi dipinti rappresentanti l'immaginaria città dei cartoni, dettagliati, cupi e contorti, una metropoli americana vista attraverso una lente deformante. Le animazioni sono buone ma certo non hanno la raffinatezza e il controllo di quelle della grande filiera disneyana a cui siamo abituati, e spesso nel loro caos entropico finiscono per schiacciare la trama. 


Ad uno sguardo superficiale potrebbe sembrare che in tutto ciò non ci sia nulla da salvare, e il voto Metascore – un desolante 28/100 – parrebbe confermarlo. Eppure in questo disordine c'è qualcosa di affascinante, e mi ritorna in mente il ragionamento con cui Benedetto Croce sosteneva l'inesistenza del brutto: se il bello è necessariamente un'espressione riuscita della vita dello spirito, e non può essere altrimenti o non esisterebbe affatto, paradossalmente anche il brutto deve avere qualcosa di bello. Il bello in Fuga dal mondo dei sogni sta, secondo me, da un certo punto di vista, proprio nella sua mancanza di pulizia e organizzazione, nelle sue comparse intrappolate in un mulinello di inseguimenti senza fine, nei personaggi eternamente dondolanti, furiosamente senza meta, gettati nella mischia da una creatività mai in pace e priva di regole, raramente rintracciabile nei campi meticolosamente controllati dell'animazione che siamo soliti trovarci davanti, più tipica di un fumetto indipendente che di un lungometraggio cinematografico; questo, nonostante tutto, lo rende degno di un certo interesse, sempre che vi piacciano, beninteso, i film cult brutti, sporchi e cattivi. 


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