venerdì 26 febbraio 2016

Il ponte delle spie (Bridge of Spies, Steven Spielberg, 2015)


Uno dei temi ricorrenti che più spesso mi pare di rintracciare nella filmografia di Spielberg è quello dell'incontro tra due individualità separate da un confine piuttosto netto (delineato, per esempio, dalla società, dalla provenienza o dalla politica) che si scoprono in grado di comunicare e arrivano a provare, l'una per l'altra, una sincera stima. È un'immagine che ritorna trasversalmente, nei film più impegnati ma anche in quelli che apparentemente lo sono meno, da E.T. l'extraterrestre (E.T., 1982) a Schindler's List - La lista di Schindler (Schindler's List, 1993), da Sugarland Express (The Sugarland Express, 1974) ad Amistad (1997). Sotto un certo punto di vista Incontri ravvicinati del terzo tipo (Close Encounters of the Third Kind, 1977) è tutto un grande tentativo di comunicazione tra diversi. Ne Il ponte delle spie le due polarità agli opposti sono l'avvocato newyorchese di successo e dalla saldissima etica James Donovan (Tom Hanks) e la spia russa Rudolf Abel (Mark Rylance). Al primo viene assegnato un compito impossibile: essere il difensore d'ufficio del secondo, contro il quale ci sono prove schiaccianti e che la grandissima maggioranza del paese desidererebbe vedere condannato a morte

Durante gli incontri necessari a prepararsi alla discussione della causa Donovan scoprirà in Abel un uomo stoico e coraggioso al di là dell'appartenenza politica e cercherà di evitargli la peggiore delle sorti con passione e dedizione, inimicandosi famiglia, colleghi e opinione pubblica ma guadagnandosi il rispetto del suo assistito. Nel frattempo, un pilota ed uno studente di economia americani vengono catturati rispettivamente dai russi e dai tedeschi della Germania Est, entrambi con la stessa accusa, fondata nel primo caso ma non nel secondo: spionaggio. Il destino dei tre uomini sarà posto nelle mani di Donovan, incaricato dalla CIA di trattare lo scambio di spie con i russi in una Berlino da poco spezzata in due dal muro. L'avvocato tenterà di districarsi all'interno del complicato gioco politico (che coinvolge tre governi, USA, URSS ed una DDR in cerca di riconoscimento) utilizzando tutte le sue capacità dialettiche, battendosi per riportare a casa anche il giovane studente, che il governo americano preferirebbe abbandonare in una cella per non rischiare di mandare all'aria l'accordo con i russi senza riuscire a recuperare la propria spia e le informazioni contenute nella sua testa.


La sceneggiatura, opera di Matt Charman e Joel ed Ethan Coen, è fittamente intessuta di contrattazioni e velate minacce; i dialoghi, va da sé, spadroneggiano, e sono gestiti con misura ed equilibrio. La regia di Spielberg è essenziale ed elegante, una maestria apparentemente tanto disinvolta da riportare alla mente Giotto che traccia una perfetta “o” in un solo, fluido gesto. Le inquadrature sono attentamente costruite, un occhio sempre volto all'equilibrio geometrico tra gli elementi, personaggi, sfondo e oggetti di scena. Il falso raccordo tra l'aula del tribunale e quella scolastica è memorabile, e la delicatezza e del finale, a cui si arriva dopo la ruvida e angosciosa sincerità dello scambio sul ponte, è sorprendente. La colonna sonora di Thomas Newman, che sostituisce il solito John Williams bloccato da un problema di salute, è un buon accompagnamento che sa farsi da parte e lasciare spazio alle parole senza diventare incolore. Tra gli attori, al di là della consueta bravura di Tom Hanks, merita indubbiamente una menzione Mark Rylance, che cattura l'attenzione interpretando un personaggio dimesso e misterioso in grado comunque di trasmettere una grande forza interiore, punto importantissimo all'interno della narrazione. 


In un certo senso Il ponte delle spie è un altro racconto (certo non l'ultimo) all'interno della raccolta cinematografica che il regista di Cincinnati ha dedicato al rapporto dell'uomo con la storia, al modo in cui il singolo si confronta con il grande ingranaggio degli avvenimenti a lui contemporanei, come li influenza e come viene influenzato. Come Lincoln (2012) anche questo è un film dal respiro lento e ponderato, e che perciò richiede allo spettatore un'attenzione un po' più elevata di quanto ci si possa aspettare a giudicare dal trailer, che lo presenta piuttosto come un thriller dal ritmo veloce. Non è il caso di spaventarsi, però, visto che la ricompensa è un film solido e di ottima fattura, con al centro una vicenda di grande valore, che saprà regalare nuovi spunti di riflessione ad ogni visione.

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