Jackie, la recensione
Sono bastati tre colpi di fucile a mandare in frantumi i sogni e
le promesse della presidenza Kennedy; un solo proiettile è stato
sufficiente per far piombare sull’elegante tailleur della First
Lady il cranio aperto del marito. Il film diretto da Pablo Larraín e
sceneggiato da Noah Oppenheim concentra tutta la propria attenzione
sulla donna al centro di una delle pagine più nere della storia
americana, che ha incarnato con dignità e forza d’animo il lutto
di una nazione pur travolta dal proprio immenso e personale dolore.
Jackie è la superstite di una terribile catastrofe; con lo
sguardo perso nel vuoto si aggira tra le grandi sale della Casa
Bianca, che lei aveva voluto rimodernare e restaurare con un preciso piano estetico in mente. Donna giovane e moderna, comprendeva il potere dei media e il
bisogno della nazione americana di costruirsi una propria mitologia;
aveva accettato di condurre per la televisione una visita guidata nelle stanze della
dimora presidenziale, avendo così modo di
presentare agli elettori il nuovo volto che aveva dato ad uno dei
più significativi monumenti degli Stati Uniti, scagionandosi
dall’accusa di essere una sperperatrice impenitente. Larraín
infila l’obbiettivo della macchina da presa nel buco della
serratura e la osserva durante i suoi ultimi, tristi giorni di
permanenza a Washington, mentre scivola irrequieta da una stanza
all’altra, circondata da lussuose suppellettili trasformatesi nel
giro di poche ore in arredi funebri. Una steadycam che sembra
piombata sul posto direttamente dai labirintici corridoi
dell’Overlook Hotel la pedina con discrezione, come qualcuno che
seguisse col fiato sospeso un fantasma in una tomba egizia. Il sogno
di una presidenza che potesse dare vita all’ideale di una Camelot
americana (un’immagine a cui sia John F. Kennedy che la moglie
erano molto affezionati, e che traeva origine da un musical del 1960)
si è interrotto prima ancora di aver potuto davvero cominciare.
Tuttavia, la giovane vedova è determinata a fare sì che il suo
ricordo viva per sempre nella memoria collettiva grazie ad un
maestoso corteo funebre, mettendo in piedi, probabilmente in maniera
inconscia, un palco per la propria sofferenza.
Larraín dipinge un ritratto psicologico di Jackie nella settimana
più difficile della sua vita, facendosi coreografo di un complicato
duetto tra Natalie Portman e il direttore della fotografia Stéphane
Fontaine; la coppia dà origine ad un gran numero di primi e
primissimi piani d’insopportabile intensità, tanto da ricordare il
leggendario La passione di Giovanna d’Arco (La Passion de Jeanne
d’Arc) diretto da C.T. Dreyer nel 1928. L’attrice israeliana dà
corpo e anima ai tormentati e ribollenti sentimenti della ex-First
Lady con un’interpretazione di grande potenza, sincerità e
profondità. La personalità di Jackie è una collezione di frammenti
che il fucile di Lee Harvey Oswald ha allontanato gli uni dagli
altri; c’è sì la donna fredda e risoluta, pronta a revisionare
completamente l’intervista appena rilasciata per essere sicura che
comunichi ciò che lei desidera, ma anche la vedova addolorata che
piange disperatamente raccontando della terribile mattina a Dallas.
Per tenerli insieme è necessario lo stoico coraggio di un’eroina
tragica.
Al centro di Jackie c’è un’ingarbugliata matassa
emozionale che scuote, sciocca e commuove. La colonna sonora composta
da Mica Levi afferra gli spettatori per lo stomaco: un giro d’archi
evolve velocemente in dissonanza, la familiarità si tramuta in
straniamento. La ricostruzione storica di ambienti e costumi è
certosina, e Larraín ed il montatore Sebastián Sepúlveda cuciono
insieme filmati dell’epoca e riprese del 2016 con tale precisione
da rendere del tutto impercettibile la sutura.
È impossibile rimanere indifferenti al racconto solenne e
viscerale di Jackie. Per un’ora e quaranta minuti ci è concesso di
spiare l’intimità della protagonista principale di alcuni dei
giorni più difficili degli Stati Uniti, lasciando che la storia sia
lo sfondo su cui tratteggiare un dettagliatissimo ritratto di
un’icona del mondo moderno, strappata dalle pagine dei giornali e
delle riviste patinate per gettare uno sguardo sotto la sua maschera e
restituirle un senso di dolente umanità, con la consapevolezza che la verità è materia perennemente
inafferrabile. Jackie è una donna che
soffre sullo schermo con strabiliante e vivida forza.
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