martedì 28 gennaio 2020

1917 (Sam Mendes, 2019)


1917 inizia e si chiude allo stesso modo: sotto un albero nel mezzo di un verde prato, in un'atmosfera amena. Tra queste due immagini simili si snoda una discesa tortuosa e sofferente in un Inferno in Terra. Ai due giovani soldati Blake (Dean-Charles Chapman) e Schofield (George MacKay) viene affidato l’arduo incarico di attraversare le linee nemiche per consegnare un dispaccio al colonnello di un battaglione inglese, pronto ad attaccare i tedeschi in ritirata con i suoi 1600 uomini, senza sapere, però, che il nemico lo sta in realtà attirando in una terribile trappola; a differenza di Dante, che nella sua esplorazione dell’aldilà si era avvalso di sapienti guide in grado di dirigere i suoi passi nella giusta direzione, nessun Virgilio è presente a consigliarli nel loro pericoloso viaggio. Per affrontare coraggiosamente l’orrore del fronte occidentale non potranno che fare affidamento su una bussola e soprattutto l’uno sull’altro.

Il flusso ininterrotto del pianosequenza esplora i luoghi desolati e inospitali straziati dal conflitto, come un campo di battaglia abbandonato, dove non c’è traccia di erba ma solo terreno smosso infinite volte dalle granate, dal quale non emergono piante ma filo spinato, e interrotto ogni pochi metri dai grandi crateri spalancati dalle mine e dalle bombe. Parrebbe quasi un panorama alieno, lunare, non fosse per i cadaveri di uomini e animali ammassati disordinatamente in ogni dove, abbandonati al loro destino e privati di una degna sepoltura dalla brutalità della guerra. Tuttavia, ciò non è che un preludio; il portale degli inferi è il corridoio buio di una trincea tedesca, e al di là di esso non c’è pace, neppure tra le mura di una vecchia fattoria in mezzo alla natura. La violenza dell’uomo sull’uomo giunge perfino dal cielo, distrugge e uccide senza pietà. Dietro di sé non lascia che morte e montagne di munizioni usate e armi distrutte, cataste di carne putrefatta e metallo contorto, oggetti ormai privi di funzione, ciò che resta di un’apocalisse che non è terminata ma si è soltanto allontanata di qualche chilometro. Si combatte fino all’ultima goccia di sangue per ogni singolo metro di una landa che la guerra stessa devasta e rende inabitabile.

Il culmine è raggiunto tra le mura di una città spettrale, che Sam Mendes e Roger Deakins dipingono sullo schermo con i colori di un’allucinazione affascinante e mostruosa al tempo stesso, un cumulo di macerie immerse nell’oscurità e illuminate dal riverbero caldo delle fiamme e a tratti dal bagliore dei bengala, con luci e ombre fortemente espressioniste, surreali come quelle di un incubo di una mente disturbata. Écoust-Saint-Mein è una Dite dantesca sorta in territorio francese, un luogo desolato e senza speranza, popolato – almeno in superficie – soltanto da esseri ostili e folli, che sarebbe forse più confortante credere diavoli invece che esseri umani. L’acqua del fiume purifica dalla terribile esperienza, almeno finché non ci si avvicina di nuovo alla terraferma e al suo carico di sofferenza; dopo la risalita, tuttavia, un canto religioso tra le fronde di una rigogliosa foresta rinfranca per un attimo lo spirito, invocando l’immagine di un Paradiso etereo, lontano dai patimenti terreni. È purtroppo un sollievo di breve durata, soltanto un sogno fugace che dona un po’ di necessario e meritato conforto poco prima dell'ultima prova prima del termine del percorso.

La Prima guerra mondiale raccontata in 1917 è un rigoroso massacro che non ha altro obiettivo che una distruzione dell’avversario che finisce per diventare quasi fine a se stessa; è una contesa politica lontana dalla vita delle persone comuni che incide i suoi passaggi più rilevanti a fondo nella carne di esseri vivi, di padri, figli e fratelli, sciagurate pedine poste dai potenti sul grande scacchiere della partita tra gli stati nazionali. È una lotta testimone di atti eroici ma che non ha nulla di nobile, dove le medaglie non sono che pezzi di latta e nastrini colorati da consegnare ad una vedova in lacrime.

Non c’è ombra di idealismo nelle battute degli ufficiali nelle prime linee, ma piuttosto frustrazione e sfinimento portate da una massacrante e atroce guerra di logoramento. Dopo anni di campagne infruttuose e di sostanziale stallo l’unico, concreto esito dello sforzo bellico è un mostruoso sviluppo tecnologico degli armamenti, sempre più fatali, e soprattutto una conta dei morti astronomica e in continua crescita. È un orizzonte cupo e buio, dove l’unica possibilità di vittoria non sta tanto nella scaltrezza tattica in sé e per sé quanto nel resistere più a lungo del nemico, nello spremere meglio dell'avversario le proprie risorse umane ed economiche, in uno sforzo tutto concentrato sul presente. Gli ordini superiori diventano privi di senso, direttive continue e spesso contrastanti tratte da un copione che nessuno degli attori realmente sul palco può leggere, e che tuttavia ha conseguenze pesantissime. La guerra totale è un’esperienza così estrema, dalle circostanze talmente disperate, che spinge gli uomini ad mostrarsi nella loro essenza più pura, spazzando via dalla narrazione tutto ciò che non è fondamentale: il racconto della missione di Blake e Schofield è, al netto dei tanti ostacoli, una linea retta che ha come unico scopo la loro sopravvivenza e quella dei loro commilitoni; i personaggi sono resi sullo schermo soltanto nei loro tratti principali, gli unici necessari.

1917 è un viaggio attraverso un teatro di guerra che è anche un’esplorazione dell’interno di una ferita, aperta simultaneamente nei corpi e nel terreno. All’inizio del suo percorso Schofield si ferisce il palmo di una mano sul filo spinato tedesco, e poco più tardi la infila, per una casualità, nel cadavere straziato di un soldato nemico, in un certo senso rigurgitato dalla terra stessa, incapace di inghiottire altri morti. Il contatto con l’orrore è inevitabile e viscerale. La pace futura si trova soltanto negli occhi di Blake, che guardando dei ciliegi abbattuti vede gli alberi che ricresceranno ancora più numerosi di prima; anche se prima che succeda, la sofferenza, le fiamme e il metallo spadroneggeranno.

La trama che fa da scheletro alla rappresentazione è piuttosto semplice e lineare sotto un certo punto di vista; Sam Mendes, tuttavia, cuce insieme i vari passaggi della storia raccontata con l’abilità e fluidità di un sarto esperto, plasmando un’opera solida e curata in tutti i suoi aspetti, pensata per essere spettacolare e allo stesso tempo profondamente commovente, con un nucleo intimo che resiste e trapela tra le maglie fitte degli eventi sconvolgenti e dei movimenti attentamente studiati.

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