Note su Silence
Silence (Martin Scorsese, 2016) ha bisogno, molto più di altri film, del buio isolamento di una sala cinematografica.
Eroso dall’aggressività del capitalismo, il sentimento religioso è per il nostro tempo un pernicioso residuo del passato. Solo all’interno del cerchio magico dell’arte – di cui il cinema e il teatro sono forse l’incarnazione più diretta – è possibile per esso sopravvivere senza ridursi ad un rituale svuotato del suo significato. Paghiamo un biglietto: onoriamo, con un tocco di ironia, l’ultima divinità rimasta per sfuggire momentaneamente alla sua stretta. All’inizio di ogni storia, ogni volta che lo schermo si illumina o il sipario si alza, ci viene chiesto di credere. È un abbandono totale ad un culto che ha sacerdoti, santi, eretici, profeti, estremisti e credenti di comodo, tutti al servizio della misteriosa potenza nascosta nel fascio di luce che tocca lo schermo, nell’onda sonora che viaggia nell’aria. Cancellato il mondo esterno, trascendiamo in una dimensione assolutamente incorporea ma non per questo meno reale, dove partecipiamo ad una cerimonia di cui i personaggi sono i devoti officianti. L’enigma di Quarto potere (Citizen Kane, Orson Welles, 1941) sarà rinnovato ogni volta che ci sarà un pubblico di fedeli ad osservarlo.
Silence è poderoso,
prolisso, in un certo senso estenuante. Le azioni si ripetono come i
gesti di un sacerdote, i dialoghi sono densi, lunghi, nel loro
insieme privi di una lettura univoca. C’è intensità e
determinazione nella recitazione, la ricostruzione è accurata, il
suolo del Seicento giapponese rapisce ed attrae come un terra
perduta, avvolta da nebbia e calura infernale. Le torture violente,
reiterate, tenute in scena fino all’ultimo, senza pietà. Silence è
un percorso pieno di dubbi. La fede è un dilemma sempre più
insondabile ad ogni nuova violenza, una supplica che non riceve
risposta. Si possono condividere le parole, i gesti, i riferimenti,
ma non il significato profondo di ciò che sotto vi è posto. Si
possono accettare indicibili sofferenze di migliaia di contadini nel
nome della verità rivelata? È degno dell’amore celeste un uomo
infido e codardo? Lontano dalle istituzioni dell’Europa delle
cattedrali, sulle coste di un’isola ai confini della Terra, il
silenzio della voce divina è ancora più assordante e doloroso. Come
replicare a chi non concepisce un mondo al di là di quello che si
vede?
Eppure, è proprio
da questo silenzio che arriva la luce, nel momento più buio prima
dell’alba. Uno spazio infinitamente piccolo e immensamente grande,
da qualche parte nell’anima dell’uomo: un luogo in cui non si può
arrivare, di cui non si può parlare, che non si può condividere
davvero con nessun altro, oltre le abiure, i battesimi, le
crocifissioni. La pura fede è al di là dei giuramenti, nell’angolo
dello specchio in cui l’uomo guarda se stesso. Non si cura della
gloria, non le interessa l’integrità. L’unico martirio che valga
la pena affrontare è la sconfitta, l’abbandono, il sacrificio nel
nome di innocenti e peccatori. Solo in quel silenzio parla il dio.
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