lunedì 9 gennaio 2017

Oceania, la recensione


La giovane figlia del capo villaggio della piccola isola polinesiana di Motunui si imbarca – letteralmente – in una grande avventura per salvare il proprio popolo dalla rovina; i suoi compagni di viaggio saranno un semidio tanto coraggioso quanto arrogante ed un pennuto che non brilla certo per intelligenza. Questa è, a grandi linee, la trama di Oceania (Moana, Ron Clements e John Musker, 2016), cinquantaseiesimo Classico Disney che si occupa, come già Frozen – Il regno di ghiaccio (Frozen, Chris Buck e Jennifer Lee, 2013), di rinnovare la tipica favola di principesse che ha caratterizzato fin dall’inizio della sua storia gli studi di animazione californiani fondati nel 1923.



Di principi, ormai, non c’è più alcuna traccia: Vaiana non ha neppure bisogno di proclamare il suo desiderio di scansare le preoccupazioni amorose come Merida in Ribelle – The Brave (Brave, Mark Andrews e Brenda Chapman, 2012), pur avendo molto in comune con quest’ultima, per esempio per quanto riguarda lo scontro con la figura genitoriale, che le impedisce di inseguire i suoi sogni a causa di convinzioni e timori radicati nella tradizione o nella propria storia personale. Le ultime giovani donne portate sulla scena dagli animatori Disney e Pixar sono piene di iniziativa, entusiaste, mai vittime passive degli eventi. Maui (doppiato nella versione originale da Dwayne Johnson) è un compagno d’avventura recalcitrante e disfattista, un buon contraltare per l’energica Vaiana. All’incontro-scontro tra i due partecipa anche, con un ruolo di primo piano, uno dei tatuaggi del semidio, reso in animazione bidimensionale, che è il commentatore silenzioso e spassoso di molti momenti del lungometraggio.


La trama è semplice, meno tematicamente complessa di quella di Zootropolis (Zootopia, Byron Howard, Rich Moore, 2016), ma non per questo meno efficace; affonda nel terreno suggestivo del mito, affidandosi al concetto di predestinazione per dare inizio all’avventura. Il comparto tecnico dà il massimo, l’animazione è impeccabile. Le espressioni dei volti e i movimenti dei corpi sono dettagliatissimi e molto naturali, riuscendo a mantenere, almeno a mio parere, l’equilibrio tra realismo e stilizzazione. La regia non si dimentica del pubblico adulto presente in sala, citando Mad Max: Fury Road (George Miller, 2015) e strizzando l’occhio brevemente a Godzilla. La colonna sonora, curata da Mark Mancina, Lin-Manuel Miranda e Opetaia Foa’i, è ricca, piacevole e divertente; nei momenti corali, i due registi sanno valorizzarla con l’utilizzo di geometriche coreografie da musical. La versione italiana dei testi delle numerose canzoni è realizzata con cura certosina. A precedere la pellicola è posto il cortometraggio Testa o cuore (Inner Workings, Leo Matsuda, 2016), che mette in scena il quotidiano conflitto tra noiosa sicurezza e rischioso divertimento con un espediente grafico chiarissimo; il messaggio è reso nella maniera tipica delle favole che centrano il proprio scopo: abbastanza semplice da essere chiaro anche ad un bambino, e nel contempo ancor più profondamente vero per gli adulti.


Oceania forse non è, tutto sommato, particolarmente rivoluzionario preso singolarmente (probabilmente neppure desidera esserlo), ma è un prodotto artistico di altissima qualità, e si inserisce perfettamente all’interno del continuo percorso di evoluzione del tipo della principessa Disney. Buone notizie, in conclusione, per i genitori che si ritroveranno a vederlo svariate volte al giorno nei prossimi mesi e anni.

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