lunedì 23 novembre 2020

The Mandalorian – Capitolo 12: L’assedio


Era del tutto prevedibile che l’incontro con Ahsoka Tano annunciato nella scorsa puntata non sarebbe avvenuto immediatamente; L’assedio (The Siege), però, non è un diversivo poco significativo per giocare ancora un po’ con l’attesa di un grande evento, ma porta avanti la trama concentrandosi sugli antagonisti, invece che sugli eroi, con rivelazioni forse ancora più interessanti di quelle precedenti.

Appurata l’impossibilità di riparare la semidistrutta Razor Crest in autonomia, Din Djarin (Pedro Pascal) è costretto ad interrompere il suo viaggio verso Corvus e a fare una deviazione nella direzione di Nevarro, il pianeta, centrale nella scorsa stagione, dove risiedeva la gilda di cacciatori di taglie e la tribù di mandaloriani a cui apparteneva il protagonista, sperando di poter ottenere aiuto. I primi minuti dell’episodio, in equilibrio tra tenerezza e umorismo, si concentrano sull’evoluzione del rapporto tra il protagonista e il Bambino, proseguendo una linea che già Il prigioniero aveva iniziato ad approfondire. È forse proprio la crescente familiarità tra i due a spingere il mandaloriano a compiere un piccolo gesto anomalo: sollevare lievemente il casco per bere. Sebbene ne Il rifugio se lo togliesse del tutto in una simile occasione, nessuna parte del volto era mostrata e – ovviamente – nessun altro personaggio era presente nelle immediate vicinanze. Il fatto che ora invece si sia presa una decisione opposta non sembra casuale. Potrebbe trattarsi, in un certo senso, della prova di come l’incontro con Bo-Katan abbia piantato il seme del dubbio nelle sue convinzioni religiose.

All’arrivo su Nevarro il protagonista e il suo trovatello sono subito accolti calorosamente da Greef Karga (Carl Weathers, che oltre a recitare si è occupato anche della regia) e Cara Dune (Gina Carano), rispettivamente magistrato e sceriffo della città, che dalla fine della scorsa stagione si sono impegnati a ripulire e riorganizzare, trasformando quello che era un centro di malaffare in un luogo rispettabile e tranquillo. Qualche sacca criminale sopravvive, ma ha vita breve, come dimostra la scena immediatamente precedente i titoli di testa, in cui Cara Dune eradica rapidamente una banda di criminali Aqualish dall’ex-covo dei mandaloriani; è qui interessante notare, come in tutti gli episodi precedenti, il continuo impegno di Jon Favreau a sottolineare l’esotismo della galassia. Tutti i farabutti, infatti, pur apparendo soltanto in una scena molto breve e avendo poche battute, oltre a non avere tratti umani parlano una lingua incomprensibile. È un tocco di colore per nulla irrilevante e che, anzi, contribuisce a creare quella specifica e particolare atmosfera che anima Star Wars.

Il ritorno di Din Djarin è salutato con gioia non soltanto in memoria delle prodezze passate: i suoi compagni d’avventura hanno ben chiaro, infatti, come potrebbe essere occupato il tempo libero in attesa che la Razor Crest venga rimessa in sesto. Nonostante il pianeta sia per la gran parte sicuro, hanno scovato una vecchia base imperiale, apparentemente semi-abbandonata, che potrebbe suscitare l’interesse di ladri e altri personaggi spiacevoli a causa delle costose attrezzature militari abbandonate al suo interno. Vorrebbero farla saltare in aria in modo da eliminare il problema alla radice, e per farlo hanno bisogno dell’aiuto del protagonista che, seppure inizialmente riluttante, forse perché reduce da uno scontro con l’Impero e desideroso di non attirare ulteriore attenzione, infine accetta.

La seconda parte dell’episodio è quasi del tutto dedicata all’infiltrazione nella base nemica e al compimento della missione che, come molti recensori hanno notato, mostra più di una piacevole somiglianza con il tentativo di liberare la principessa Leia in Una nuova speranza. Greef Karga recluta, nel ruolo di autista e tecnico di supporto, il poco atletico e per nulla coraggioso Mythrol (Horatio Sanz) che Din Djarin aveva catturato durante la prima sequenza del primo episodio della serie. L’alieno si scopre essere il contabile di Karga, fuggito dopo aver gestito in maniera piuttosto disinvolta gli averi del suo datore di lavoro e prontamente riacciuffato. Gran parte della comicità dell’episodio è affidata a questo personaggio, una gradevole aggiunta che stempera i toni in una sequenza che culmina con una scoperta sinistra: la base non è semplicemente un centro operativo, ma un laboratorio di esperimenti genetici, per i quali il Bambino, e in particolare il suo sangue, sono fondamentali. La scoperta del motivo per il quale Moff Gideon (Giancarlo Esposito) è determinato a ottenere la misteriosa creatura porta con sé implicazioni importanti. Nulla è certo, per ora, ma è piuttosto probabile un qualche collegamento con la creazione del Leader Supremo Snoke, che ne L’ascesa di Skywalker si rivelava prodotto artificialmente dall’Imperatore; i corpi deformi nelle vasche (si suppone tentativi falliti o non completati di generare individui) e la necessità di servirsi di un essere particolarmente sensibile alla Forza parrebbero due indizi abbastanza rilevanti. Se così fosse, The Mandalorian si assumerebbe il rischioso incarico di far luce su uno dei punti più controversi della trilogia sequel, una svolta narrativa che è parsa ingiustificata e poco ragionata, un modo rapido e semplice per dare al finale della storia una nuova nemesi, sollevando Kylo Ren da tale responsabilità e permettendone, forse, una più facile redenzione, fornendo una scappatoia rispetto a quanto accaduto ne Gli ultimi Jedi, che pareva andare nella direzione diametralmente opposta. Non è certo un compito facile, ma se l’intenzione è davvero quella di approfondire l’argomento, il fatto che nel team creativo sia presente Dave Filoni non può che essere un indubbio vantaggio; fin dall’inizio della sua permanenza in Lucasfilm, infatti, le opere che ha supervisionato e diretto hanno avuto come scopo ultimo quello di espandere le storie raccontate nei film arrivati al cinema, arricchendole di dettagli e portando alla luce aspetti che altrove non trovavano lo spazio per essere esplorati e che, ben lungi dall’essere superflui o trascurabili, aggiungevano significato e profondità. Se alcune storture rimangono irrisolvibili, quello che può essere fatto – e non è poco – è cercare di dare a certi eventi una migliore spiegazione della loro ragion d’essere. L’introduzione del pilota della Nuova Repubblica Carson Teva (Paul Sun-Hyung Lee), che in questo episodio rivela la sua preoccupazione riguardo il futuro della galassia, è un ulteriore elemento che porta a pensare che si voglia andare a toccare l’origine del conflitto al centro della trilogia sequel. Verso la stessa direzione potrebbero puntare i richiami al tema della Resistenza presenti nella colonna sonora. È comunque possibile che la trama vada in tutt’altra direzione, e tanti indizi non fanno necessariamente una prova, ma mi sembra comunque che ci siano buone ragioni per avere un sospetto.

Nell’insieme la regia è solida; dove forse si mostra più debole è negli scontri a fuoco all’interno della base nemica, che non sembrano particolarmente curati per quanto riguarda la coreografia e anzi risultano un po’ improvvisati, anche considerando una ragionevole dose di licenza poetica. È più convincente, invece, la fuga finale attraverso il canyon, che termina con una battaglia aerea acrobatica e spettacolare, dove l’inserimento dell'entusiasta Bambino contribuisce ad aggiungere qualcosa di nuovo e decisamente divertente. La chiusura, rivelando il tradimento di un meccanico su Nevarro e la presenza di un radiofaro sulla Razor Crest, che comunica i suoi spostamenti a Moff Gideon, aggiunge ulteriore tensione al viaggio verso Ahsoka, che è ragionevole pensare compaia nel prossimo episodio, scritto e diretto da Dave Filoni, il suo creatore. Il conto alla rovescia è partito e, viste le armature schierate attorno all'antagonista nell'ultima inquadratura, si prevedono scintille.

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