L'ultima parola – La vera storia di Dalton Trumbo (Trumbo, Jay Roach, 2015)
Quanto ci piacciono le storie di uomini
che resistono – alla società, alle leggi, all'ingiustizia, alla
natura; mirabili esseri umani, che invece di arrendersi, come pure
molti farebbero di fronte ad un destino avverso, lottano con ancor
più furia e determinazione. L'ultima parola – La vera storia di
Dalton Trumbo (ennesima vittima, ahimè, della mania italiana di
sostituire titoli semplici e chiari con altri prolissi e poco
ispirati, cercando inutilmente, almeno a mio parere, di spiegare allo
spettatore italiano la trama del film) racconta la vita di un simile appartenente al genere umano: sceneggiatore di successo nella Hollywood anni
quaranta, fu una delle vittime della “caccia alle streghe”
portata avanti dalle frange più conservatrici, determinate a scovare
fantomatiche spie e supposti simpatizzanti comunisti nella fabbrica
dei sogni californiana. Trumbo, comunista iscritto al partito,
rifiutò di collaborare e oppose strenua resistenza ad ogni tentativo
di strappargli una dichiarazione di appartenenza politica, finendo in
carcere e trovandosi costretto, successivamente, a scrivere sotto
falso nome e ad accettare di lavorare per una casa di produzione di
infima qualità, escogitando sistemi via via più complicati per
restare nell'anonimato. Soltanto molti anni dopo gli saranno
ufficialmente riconosciuti i premi Oscar vinti per la sceneggiatura
di Vacanze Romane (Roman Holiday, William Wyler, 1953) e La più
grande corrida (The Brave One, Irving Rapper, 1956), originariamente
attribuiti a prestanomi o a scrittori del tutto inventati.
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Il vero Dalton Trumbo |
Tutto ruota, in un certo senso, attorno
alle parole, e in un film così tanto dialogato, privo di momenti dal
respiro un po' più dilatato, si sente la mancanza di una regia più
visivamente incisiva, in grado di sfruttare le immagini per
arricchire e approfondire il racconto, piuttosto che per illustrarlo.
È bene notare come la regia, comunque, svolga diligentemente il
suo dovere, pur non presentando apprezzabili picchi di creatività.
La parte del leone è affidata alle performance degli attori,
protagonisti o meno. Anche quelli a cui è affidato il compito di
dipingere un breve ritratto, di un personaggio storico oppure
inventato ai fini della trama, sono nella condizione di esprimersi in
maniera più che buona. Helen Mirren presta il proprio volto alla
giornalista di gossip Hedda Hopper, fedelmente votata alla causa
anticomunista forse – nell'interpretazione fornita dal film –
anche per alcuni interessi personali, autrice di una rubrica
pungente, della quale si serve per influenzare l'opinione pubblica.
Ovviamente svetta su tutti con sicurezza ed abilità Bryan Cranston
nel ruolo del protagonista; riesce a rendere interessanti anche le
estenuanti sessioni di scrittura dello sceneggiatore, disseminate di
fronti aggrottate, borbottii, bottiglie di superalcolici, sigarette a
profusione e pillole.
Trumbo è presentato come un uomo
impegnato in una lotta quasi impossibile con il sistema,
testardamente convinto della giustezza del suo operato nonostante le
difficoltà sociali ed economiche e le crescenti tensioni familiari,
senza glissare sulle umane contraddizioni della sua condotta. I
dialoghi in cui si discutono le sue convinzioni politiche e personali sono tra i più interessanti, insieme a quelli
che tratteggiano il rapporto con la figlia maggiore alla ricerca
della libertà che la crociata del padre le ha tolto. La chiusura è
efficace, anche se forse un po' troppo didascalica, e le scene tratte
dai film sceneggiati dal protagonista sono inserti piacevoli e ben
integrati.
In conclusione, c'è prevalentemente un
motivo per cui L'ultima parola – La vera storia di Dalton Trumbo
non riesce a trascendere il particolare per arrivare a quella
validità universale che rende alcuni biopic capaci di diventare più
che racconti romanzati della vita di uno speciale essere umano: una
regia poco inventiva per quanto corretta e pulita, di certo non
aiutata da una fotografia piuttosto piatta e in fondo un po' anonima.
Ciò non toglie, tuttavia, che il risultato finale sia un buon film
con una sceneggiatura scritta con cura (era d'obbligo) ed un soggetto
interessante, portato in scena con artigianale maestria dal cast.
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