Deadpool (Tim Miller, 2016)
«Le cose importanti da ricordare sono
i dettagli, i dettagli rendono la storia credibile», afferma
Holdaway (Randy Brooks) ne Le iene (Reservoir Dogs, Quentin
Tarantino, 1992); è una frase che si può applicare, senza
particolari difficoltà, a Deadpool, il film sullo sregolato
supereroe Marvel rimasto invischiato nei complicati ingranaggi degli
studios per un decennio ed infine approdato sullo schermo grazie alla
testardaggine di Ryan Reynolds, che oltre a recitarvi come
protagonista funge anche da produttore. Sulla sedia del regista
troviamo invece Tim Miller, direttore artistico e supervisore degli
effetti speciali al suo primo lungometraggio.
La quarta parete, come era logico
aspettarsi viste le caratteristiche del personaggio, viene demolita
fin dalle prime sequenze: anzi, ribaltando i termini della questione,
potremmo sostenere che il pubblico viene ingannevolmente portato a
credere, in certi momenti, che esista un qualche grado di separazione
tra sé e il personaggio principale. Come il servo astuto delle
commedie latine Wade Wilson strizza continuamente l'occhio alla
platea, la intrattiene con riferimenti continui alla pop culture e
grappoli di gag irriverenti lanciati quasi senza un attimo di tregua:
una bella rivincita per Deadpool e per il suo interprete, dopo la
deludente prima apparizione come ninja muto in X-Men le origini –
Wolverine (X-Men Origins: Wolverine, Gavin Hood, 2009), che quasi
nulla aveva in comune con il personaggio originario.
La trama in sé, denudata dei suoi
orpelli, non ha niente di particolarmente innovativo, attinge a piene
mani dagli stilemi tipici delle storie di origini di supereroi e, più
in generale, del cinema d'azione; in fondo è giusto così, perché
essa non è altro che lo sfondo più adatto ad ospitare gli eccessi
di un cabarettista armato fino ai denti, letale anche se a corto di
munizioni. I comprimari svolgono il loro dovere ma non riescono mai a
raggiungere lo stesso livello del mercenario chiacchierone, con
l'eccezione, forse, di Al (Leslie Uggams) vecchia cieca, cocainomane
e appassionata di mobili IKEA con cui il nostro convive dopo la
violenta trasformazione a cui lo sottopone Francis (Ed Skrein),
l'antagonista del film. Le scene di tortura sono sgradevoli ed
angoscianti al punto giusto, ma ciò che veramente sorprende (almeno
la sottoscritta) è che la storia d'amore su cui la campagna
marketing aveva scherzato a ridosso di San Valentino è
effettivamente presente e, vista all'interno del genere in cui è
collocata, funziona piuttosto bene, facendo scorrere su binari ben
collaudati dialoghi brillanti e anelli di Voltron.
La regia è gestita con la dovuta cura,
fa ampio uso del ralenti riuscendo a non farlo risultare fastidioso e
superfluo – come spesso capita – ma legandolo al carattere sopra
le righe del personaggio e alle sue frenetiche evoluzioni, oltre che
all'iniziale sequenza incentrata sull'attacco ad un convoglio di
macchine. La musica e i movimenti rallentati sono, peraltro, spesso
messi in scena con intenti comici o parodici, e il risultato è
raggiunto e conquistato, soprattutto nella iniziale sequenza di titoli, di cui pare
che il regista, tra l'altro, sia un esperto, avendo curato le
introduzioni di Thor: The Dark World (Alan Taylor, 2013) e Millennium
– Uomini che odiano le donne (The Girl with the Dragon Tatoo, David
Fincher, 2011).
Il finale, comprendente una buona e
giusta dose di distruzione e scazzottate, potrebbe spingerci a
chiederci quali saranno i rapporti tra Deadpool e il franchise
cinematografico degli X-Men. In questo primo film che, non è
difficile prevederlo, sarà seguito da altri, la relazione è quasi
di sfondo, accennata ma non sviluppata, una scelta assennata vista la
necessità di presentare una nuova iterazione del personaggio al pubblico, concedendo comunque, in ogni caso, che gran parte degli spettatori non avrà serbato alcun ricordo della precedente comparsa. La scena
dopo i titoli di coda, un richiamo a Una pazza giornata di vacanza
(Ferris Bueller's Day Off, John Hughes, 1986), ha annunciato la
comparsa, all'interno del secondo film, di Cable, altro personaggio
Marvel legato alla scuderia mutante, mai apparso in scena prima. In
futuro sarà possibile vedere Wade Wilson compreso nella pletora di
personaggi che solitamente appaiono nel grande universo
supereroistico della 20th Century Fox, oppure rimarrà una
scheggia impazzita e collegata soltanto vagamente? Il personaggio
verrà sfruttato efficacemente? Il tempo ci darà la risposta. Nel
frattempo possiamo goderci la sfida vinta di Ryan Reynolds: il film
sta registrando infatti degli ottimi incassi per un'opera con rating
“R”, ha un'ottima gestione dei tempi comici, una storia adatta al
genere che, pur potendo sembrare un po' generica, funziona, un
personaggio principale esplosivo e delle scene d'azione coinvolgenti.
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