Zootropolis (Zootopia, Byron Howard, Rich Moore, Jared Bush, 2016)
Una sceneggiatura può presentarsi, a
volte, come un foglio, una tela, una parete intonsa: un candido
riquadro dove inserire l'opera in sé, un cerchio tracciato nel
terreno per dare forma allo spazio scenico. Non è per nulla inusuale
che questo succeda nei film d'animazione, anzi, piuttosto il
contrario; tuttavia Zootropolis, l'ultimo film prodotto dai Walt
Disney Animation Studios, è in grado di farlo con singolare abilità. La trama
è quella del più classico dei gialli, e la coppia di opposti
chiamata a risolvere il mistero, perciò costretta a collaborare, è
altrettanto tipica: l'originalità e la ricchezza della storia
vengono dalla profondità dei dettagli, che grazie alla cura con cui
sono tratteggiati hanno modo di esprimere meglio di qualunque dialogo
la morale di fondo.
Zootropolis è, come fa ben presagire
il nome, una grande città in cui mammiferi di ogni tipo convivono
pacificamente, tra i palazzi della quale sembra che chiunque possa diventare ciò che
desidera: è per arrivare là che Judy Hopps, coniglietta
intraprendente e coraggiosa, si impegnerà a fondo, inseguendo il
desiderio di diventare agente di polizia, la prima della sua specie,
andando contro le aspettative dei genitori e della società, che la
vorrebbero più tradizionalmente timorosa coltivatrice diretta. La
sequenza dell'arrivo della protagonista nella grande città in treno è
spettacolare, piena di movimenti di camera elaborati e punti di vista
arditi, e mostra appieno la quasi ineguagliabile abilità tecnica che
da sempre contraddistingue gli studi di animazione più famosi di
Hollywood. Non è difficile immaginare la mole di concept art e
storyboards passati tra le mani dei creativi coinvolti, ed è chiaro,
dal risultato finale, quante giornate di lavoro siano state spese per
definire fin nel più minimo dettaglio gli ambienti, l'aspetto dei personaggi e gli adattamenti
approntati per rendere un luogo adatto sia a giraffe che toporagni.
I due protagonisti, Judy e la volpe
Nick, hanno risposto in modo diverso alle circostanze: l'una lottando
per infrangere il pregiudizio che la voleva tenera coniglietta,
l'altro conformandosi all'opinione comune che lo giudicava scaltro,
astuto e inevitabilmente inaffidabile. Anche nella grande metropoli
non è poi così facile vedere realizzate le proprie aspirazioni:
bisogna comunque scontrarsi con la realtà ed i suoi coriacei pregiudizi, e non sempre si ha il
coraggio di perseguire testardamente per la propria strada. Il
rapporto tra i due è brillante e divertente, il cinismo dell'uno si
scontra con la forza d'animo dell'altra dando il via a dialoghi sinceramente spassosi, permettendo inoltre di esplorare i caratteri
con accuratezza.
I personaggi secondari, nonostante la
loro posizione periferica all'interno della narrazione, sono più che
mai importanti: sono loro, infatti, ad evidenziare ulteriormente come
la divisione tra predatori e prede, che ancora aleggia nell'opinione
comune, sia ormai del tutto desueta. Un leopardo può essere un
timido ed imbranato receptionist, mentre un bufalo cafro un imponente
capo di polizia. La spaccatura, al massimo, è tra animali di grandi
e piccole dimensioni (in alcuni casi, credo, adattate a seconda delle
necessità narrative). L'adattamento italiano si avvale delle voci
alcuni personaggi dello spettacolo, tra i quali figurano Paolo
Ruffini e Frank Matano; quest'ultimo fatto ha generato una buona
dose di polemiche, ma bisogna dire, tuttavia, che la scelta risulta
azzeccata e fornisce ulteriore colore (anche dialettale) alla varietà
di specie e individui che popolano la città immaginaria, ben lungi,
quindi, dall'essere una semplice mossa di marketing. La traduzione completa dei titoli e delle scritte dall'inglese è usuale nei prodotti Disney e sempre molto apprezzata, almeno da parte mia: mostra la grande attenzione che viene riposta nel fornire un ottimo prodotto anche sui mercati internazionali. Gli appropriati
riferimenti ad altre opere cinematografiche e televisive (Breaking Bad e
soprattutto Il padrino) quasi rivaleggiano con quelli incentrati su
2001: Odissea nello spazio (2001: A Space Odyssey, Stanley Kubrick,
1968) che punteggiavano WALL•E (Andrew Stanton, 2008), e
certamente saranno molto apprezzati dagli spettatori adulti.
Una particolarità per la quale personalmente
apprezzo molte delle recenti opere Disney e Pixar è la non banalità
della necessaria morale di fondo: spesso molti prodotti del cinema
d'animazione si limitano a ribadire alcune semplici verità senza
approfondirle, il che non è in nessun modo sbagliato, ma certamente
non permette di catturare tramite i contenuti (e non solo attraverso
la maestria tecnica) l'interesse di chiunque abbia superato i dieci
anni. Qui sotto la lente d'ingrandimento c'è il modo in cui
percepiamo noi stessi ed in cui veniamo percepiti dalla società, le
aspettative che si formano e la difficoltà dello scrollarsele di
dosso, il tutto condito da gag e situazioni esilaranti che addolciscono la pillola, rendendo un tema che potrebbe diventare piuttosto complesso
comprensibile a tutti. Il design e la cura maniacale delle animazioni
completano l'opera splendidamente.
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